Ad inizio aprile vi avevamo presentato la nuova Jekyll in questo first ride di Francesco Mazza, articolo nel quale trovate anche una dettagliata descrizione della nuova arma da enduro della grande C americana. In seguito ci è stata inviata per un test più lungo ed approfondito una Jekyll 2, allestimento inferiore solamente alla Jekyll 1 provata a suo tempo da Francesco.
Le differenze fra i due allestimenti non si limitano al montaggio, ma interessano anche i materiali uilizzati nella realizzazione del telaio. Mentre la 1 adotta il carbonio BallisTec in tutte le sue parti, nella Jekyll 2 sono solamente il triangolo principale e la biella di rinvio dell’ammo ad essere in carbonio, mentre il carro è in alluminio C1. Materiali a parte, tutte le altre features presenti sulla 1 e ben descritte nel citato articolo di Francesco le ritroviamo pari pari sulla 2, compresa ovviamente la possibilità di variare corsa e curva di compressione della sospensione posteriore tramite comando a manubrio.
Materiale telaio: triangolo principale in carbonio / carro in alluminio
Formato ruote: 27.5”
Schema sospensione: monocross assistito
Geometrie variabili: no
Corsa ant/post: 170/165-130 mm (variabile “on the fly”)
Boost posteriore: sì
Forcella boost: sì
Ammortizzatore metrico: sì (230×60 mm)
Ruote e coperture tubeless ready: sì
Trasmissione: 1×12 (30T ant / 10-50 post)
Attacco per deragliatore: no
Attacco ISCG 05: sì
Attacco portaborraccia: sì
Garanzia telaio a vita: sì, per il primo proprietario previa registrazione on-line
Peso rilevato tg.L (18”): 13.84 kg
Prezzo: 5999 Euro
In Cannondale hanno fatto bene i compiti a casa, adottando sulla nuova Jekyll tutte le soluzioni geometriche che nel corso degli ultimi anni sono state affinate in ambito enduro (e non solo). Troviamo di conseguenza abbondanti valori di interasse, reach ed orizzontale virtuale, un carro che è probabilmente il più corto della categoria, un angolo sterzo ben disteso ed un tubo sella corto e bello verticale. Fa eccezione l’altezza del movimento centrale, che resta relativamente abbondante come lo era sulla vecchia Jekyll.
Gli anni di gloria della sacca idrica sembrerebbero passati (non per quanto mi riguarda) in favore della vecchia, cara borraccia. Sulla Jekyll si è data molta importanza a questo aspetto, tanto da condizionarne fortemente l’estetica.
Oltre alla particolare biella curva, l’obliquo presenta infatti una marcata curvatura a ridosso del movimento centrale e l’ammortizzatore è posizionato piuttosto in alto (con buona pace di tutti i discorsi sull’abbassamento del baricentro). Soprattutto a causa della lunga biella curva ne risulta un design abbastanza particolare, e vista lateralmente la Jekyll sembra più alta e compatta di quanto le quote geometriche inesorabilmente dicano.
Cannondale non tradisce lo schema di sospensione di tipo monocross assistito, ma sulla nuova Jekyll l’ammortizzatore è di tipo convenzionale e lavora in compressione.
I foderi inferiori sono massicci e collegati da un ponticello a ridosso del movimento centrale. Quelli superiori sono invece più esili e non presentano punti di collegamento intermedi fra lo snodo posteriore e quello sulla biella di rinvio dell’ammo. La lunghezza stessa della pur massiccia biella in carbonio è un altro elemento che non gioca a favore della rigidità torsionale del carro, che infatti è lontana dalla graniticità garantita da altri design (provate a flettere il carro di una BMC Trailfox, ad esempio). Ciò detto, la compattezza del carro fa sì che una volta “on the trail” non si notino perdite di precisione o di reattività imputabili a flessioni.
La tecnologia Asymmetric Integration prevede che il carro sia shiftato verso il lato drive. Secondo quanto dichiarato da Cannondale questo ha permesso di realizzare un carro estremamente corto (innegabile), più rigido e con ampia luce per il passaggio del pneumatico. I vantaggi interessano anche la ruota, dato che viene ridotta la differenza di angolo e tensionamento dei raggi fra i due lati. Il rovescio della medaglia l’avrete già intuito: la ruota richiede una campanatura particolare, il che non è il massimo della comodità nel momento in cui vorrete farvi un secondo set o, peggio ancora, dovesse capitare di montare una ruota “di emergenza”.
Ottima la cura dei dettagli, sia a livello di protezioni che di passaggio cavi. Le prime sono presenti in tutti i punti in cui servono, ed addirittura è stato messo un cappuccio sul lato interno dello snodo fra fodero inferiore e superiore lato drive. La protezione sotto l’obliquo è in carbonio, e come la foto lascia intuire abbiamo verificato in più di una occasione che svolge bene il suo compito.
Il passaggio cavi è studiato in modo che i cavi non sfreghino fra loro ed i punti di ingresso nel telaio sono molto curati. Purtroppo anche il tubo del freno posteriore passa all’interno del telaio, scelta che antepone l’estetica alla funzionalità e che altre case stanno fortunatamente abbandonando.
La Forward Geometry di Mondraker ha fatto scuola, ed è innegabile che un po’ tutti si stiano muovendo in quella direzione. La nuova Jekyll non fa eccezione, e così troviamo uno stem Cannondale C1 da soli 35 mm di lunghezza. Convenzionale invece il diametro di 31.8 mm.
Della stessa Cannondale anche la piega in carbonio da 780 mm di larghezza e 15 mm di rise.
Le ruote composte da mozzi SRAM 900, raggi DT Swiss Competition e cerchi in alluminio WTB Frequency Team i29 tubeless ready non sono probabilmente fra le più leggere in commercio, ma si sono comportate molto bene sopportando svariate giornate in park senza richiedere alcun intervento di manutenzione. La larghezza interna dei cerchi di 29 mm è una giusta misura per alloggiare coperture di sezione generosa quali l’ottimo Maxxis Minion DHF da 2.5″ montato all’anteriore. Nulla da ridire neppure sul DHR da 2.4” al posteriore, seppur non un campione di scorrevolezza.
Ottimo il funzionamento della trasmissione Eagle, ma una corona da 30 denti su un modello sbandierato come “stage ready” fa un po’ sorridere. A parte questo dettaglio il montaggio della Jekyll 2 non presenta anelli deboli che ne possano precludere realmente l’utilizzo in gara (si potrebbe al limite valutare il montaggio di un guidacatena).
I Guide in generale non sono freni che mi fanno impazzire, preferendo impianti più pronti e potenti. Gli RS montati su questa versione della Jekyll non hanno fatto eccezione, ma va riconosciuto che problemi non ne hanno mai dati neppure sulle discese più lunghe e ripide. Altra cosa da rimarcare è che montando delle Cube organiche (quelle color blu che si intravedono nella foto) le prestazioni sono leggermente migliorate. Questo non dimostra che le pastiglie Cube siano migliori, è infatti possibile che le originali avessero preso qualche scaldata di troppo.
In questo caso la colpa non è dei freni, ma a causa della finitura super-liscia della piega in carbonio fissare stabilmente i collarini senza il rischio di eccedere con la coppia di serraggio non si è rivelato tanto semplice. Fare in modo che in caso di caduta la leva possa ruotare è comunque buona norma.
Una volta presa la mano alla velocità di estensione supersonica con relativo botto di finecorsa, abbiamo cominciato ad apprezzare il reggisella telescopico Race Face Turbine: oltre a non aver mai mancato un colpo non ha giochi eccessivi ed il comando remoto è ben fatto e fluido nel funzionamento.
La Jekyll 2 monta sospensioni Fox sia all’anteriore che al posteriore. La forcella è una 36 Float Performance Elite Fit 4, 3-pos Adj. da 170 mm di travel. Una delle forcelle più performanti sul mercato, impeccabile nel saper tenere la ruota attaccata al terreno e con una rigidità tale da garantire una precisione di guida totale. Pur non appartenendo alla serie Factory della casa americana, se pensate che non sia all’altezza delle vostre capacità di guida il consiglio è quello di iscrivervi alle prossime EWS, dove sicuramente otterrete un buon piazzamento.
Abbandonato il Fox Dyad con funzionamento pull, la nuova Jekyll adotta ammortizzatori dal funzionamento convenzionale. In questo caso un Fox Float X Performance Elite EVOL metrico (230×60 mm), che in quanto a prestazioni può essere definito semplicemente eccellente. Anche in questo caso non troviamo quindi una unità della serie Factory, ma vale quanto detto a proposito della forcella: se vi sembra che non tenga il passo con i vostri ritmi siete probabilmente dei campioni sprecati su una bici come questa.
Cannondale ha abbandonato il Dyad ma non il concetto di doppio travel, sulla Jekyll realizzato grazie alla tecnologia denominata Gemini. Tramite un comando remoto è possibile ridurre il volume della camera del Float, che in questo modo varia la curva di compressione diventando molto più progressivo. Ciò che si ottiene all’atto pratico è una riduzione della corsa alla ruota, la quale scende a 130 mm senza però inficiare l’iniziale sensibilità. Questa modalità di lavoro è stata denominata Hustle, mentre in modalità Flow la corsa è di 165 mm e l’ammo lavora in toto come un normale Float. La parte idraulica non viene interessata dal meccanismo Gemini, per cui il controllo della frenatura della compressione su tre livelli resta attivo in entrambe le modalità. Rispetto al Dyad non solo il Float lavora nettamente meglio, ma può essere sostituito con qualsiasi ammortizzatore di pari misura (ovviamente perdendo il travel variabile).
Tubo sella verticale e stem corto determinano una posizione in sella più raccolta di quanto ci si attenderebbe scorrendo la tabella delle geometrie, cosa che sarà percepita soprattutto da chi ha molto fuorisella. Chiaramente non si tratta di una posizione molto favorevole dal punto di vista della resa della pedalata, così come non aiuta il peso non propriamente contenuto delle ruote e la tassellatura aggressiva dei pneumatici. La sospensione posteriore bobba in modo abbastanza marcato se lasciata aperta, anche in posizione Hustle, ma grazie all’efficace frenatura della compressione del Float il fenomeno può essere totalmente annullato. Diciamo che sullo scorrevole si sale, ma al pari di molte altre moderne enduro è meglio salire pregustando la discesa, piuttosto che pretendere gratificazioni mentre la ruota anteriore punta ancora verso l’alto. Sul tecnico la musica invece cambia, quantomeno rispetto a molte concorrenti della stessa categoria. Una serie di fattori giocano infatti a favore della Jekyll: la corsa ridotta della modalità Hustle e quindi l’ottimo sostegno della sospensione posteriore, il tubo sella verticale e la buona altezza del movimento centrale. Non vogliamo raccontare le favole dicendo che la Jekyll invoglia a cercare il ripido e tecnico, ma quando non è evitabile si soffre meno che con altri modelli da enduro.
Una volta in piedi sui pedali, quindi svincolati dalla posizione della sella, la sensazione di stare su una bici più compatta di quanto sia in realtà riscontrata in salita scompare quasi totalmente. Probabilmente a causa del movimento centrale discretamente alto combinato con il carrocorto, ci si sente tuttavia un po’ “alti” sulla bici. Sullo sconnesso veloce questo richiede un iniziale adattamento, non trasmettendo immediatamente quella sensazione di sicurezza e stabilità data da modelli nei quali si è maggiormente “dentro” la bici.
Grazie all’angolo sterzo ben aperto ed all’impeccabile lavoro delle sospensioni non ci vuole però molto a realizzare che i margini sono molto elevati, sia in velocità sui fondi rotti che quando si tratta di aggredire le sezioni più ripide. La compattezza del carro permette di scaricare l’anteriore con estrema facilità, il che fa della Jekyll una bici sensibile ai trasferimenti di carico e molto giocosa da questo punto di vista. Non così vivace, a meno di non ricorrere alla posizione Hustle o ridurre abbastanza drasticamente il sag, è invece la risposta della sospensione posteriore, molto plush e lineare su gran parte della corsa ma proprio per questo non un campione di reattività.
Una volta presa confidenza ed imparato a caricare l’anteriore con decisione fidandosi degli alti limiti concessi da angolo sterzo e dalla impeccabile Fox 36, nel guidato stretto la bici gira con agilità sorprendente, e farla andare via di posteriore con la classica “pelatina” al freno è di una facilità disarmante. Assieme all’elevato limite di ribaltamento, la Jekyll è quindi estremamente divertente e sicura anche sui sentieri alpini tortuosi e tecnici, ambito di utilizzo per il quale i fedeli del formato 27.5” spesso optano per modelli da enduro (un’ottima alternativa in questo ambito sono le trailbike 29” più spinte). Con la sospensione posteriore in modalità Hustle la reattività sale notevolmente, anche in termini di risposta nei rilanci. E’ tuttavia un settaggio che personalmente ho trovato conveniente solo sul flow stile bike park ed a patto di stare lontani da salti o drop. In tutte le altre situazioni ha invece più senso lasciar lavorare in tutta libertà l’ottima sospensione posteriore, capace di tenere la ruota letteralmente incollata al terreno anche sui fondi più sconnessi.
Chi desiderasse una risposta più pronta in fase di rilancio senza dover ricorrere alla riduzione di corsa, e soprattutto maggiore vivacità in uscita di curva, potrebbe comunque valutare l’inserzione di air spacer nel Fox, anche se collateralmente si avrebbe un aumento della già sufficiente progressività finale. Tirando le somme, se si eccettua la sospensione posteriore un po’ vuota nella parte centrale è difficile trovare un punto debole alla Jekyll quando la ruota anteriore punta a valle.a
I modelli da enduro hanno progressivamente perso la loro polivalenza in favore delle prestazioni discesistiche. La nuova Jekyll non fa eccezione, cambiando radicalmente carattere rispetto al vecchio modello. In ambito discesa non è però un mezzo ultraspecialistico, risultando molto performante e godibile non solo sui tracciati tipici delle competizioni enduro, ma anche sui trail alpini.
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