[Test] Canyon Strive CF 8.0

Dopo il recente test della Mojo HD3, eccovi la recensione di un’altra bici che non era presente alla comparativa di novembre 2014, vale a dire la Canyon Strive CF 8.0

La Strive è il modello enduro di Canyon frutto della collaborazione con l’asso francese Fabien Barel. Collaborazione che fa rima con rivoluzione, visto che rispetto al precedente modello sono cambiate sia l’estetica che le principali soluzioni tecniche. Le più importanti novità sono le ruote in formato 650b, la sospensione posteriore che dal monocross passa al giunto Horst, il dispositivo Shapeshifter e le geometrie completamente riviste. Oltre che in diversi allestimenti con telai carbon oppure alluminio, la Strive è proposta in due versioni denominate Regular Geometry e Race Geometry. La prima prevede quote più tradizionali, mentre la seconda esaspera il trend che vuole le bici di questa categoria sempre più “allungate”. La Strive da noi testata è la CF 8.0, dove la sigla CF identifica che ci troviamo di fronte ad un telaio in carbonio. La geometria adottata su questo modello è la regular, 163-130 mm di travel al posteriore gestiti da un Cane Creek DB Air InLine, 170 mm davanti gestiti da una Fox 36 Float RC2.

Lo Shapeshifter

Il punto di forza della Strive, nonchè ciò che la contraddistingue da ogni altra enduro in commercio, è lo Shapeshifter. Per quanto riguarda il funzionamento nel dettaglio vi rimandiamo a questo articolo di Daniel Naftali, limitandoci qui a riassumerne le caratteristiche principali. Si tratta in pratica di un dispositivo che, grazie alla possibilità di variare la cinematica della sospensione posteriore, permette di scegliere fra due diversi assetti della bici denominati XC e DH. Il primo comporta geometrie più chiuse, un altezza maggiore del movimento centrale e travel posteriore di 130 mm. In assetto DH gli angoli si aprono di 1.5°, il movimento centrale si abbassa di circa 10 mm, l’escursione alla ruota sale a 163 mm con una risposta della sospensione più morbida. Tutti i valori geometrici nelle due configurazioni li trovate più avanti nella tabella delle geometrie.

Il passaggio da una modalità all’altra avviene a bici in corsa: tenendo premuto l’apposito comando remoto, scaricando la sospensione posteriore la bici si setta in modalità XC, caricandola in modalità DH. L’intensità del trasferimento di peso necessario è regolabile in base alla pressione dell’aria caricata nel pistone che gestisce il meccanismo. Canyon fornisce una tabella con i valori ottimali in base al peso del rider, ma nulla vieta di adottare valori diversi a seconda che si intenda facilitare il passaggio all’una o all’altra modalità (più pressione facilita il passaggio alla modalità XC, meno pressione alla modalità DH). Trovandosi il comando remoto nella stessa posizione indipendentemente dalla modalità impostata, una piccola finestrella posizionata sulla biella di rinvio dell’ammo segnala in che posizione è settata la sospensione: verde quando XC, nera quando DH. La finestrella è ben visibile sia da seduti che in fuorisella, ma chiaramente richiede di distogliere per un istante lo sguardo da ciò che ci sta davanti. Da questo punto di vista un’indicazione in zona manubrio sarebbe preferibile.  Il settaggio del dispositivo non è nulla di complicato, e le istruzioni allegate sono chiare.

Per l’intera durata del test il meccanismo ha funzionato alla perfezione, non mancando un colpo. Paragonato a sistemi di riduzione della corsa tipo quelli adottati da Cannondale e Scott, lo Shapeshifter è vincente in termini di qualità della risposta della sospensione, che anche quando settata a 130 mm mantiene una curva di compressione molto valida. Perde invece sul fronte dell’immediatezza e praticità nel passaggio da una modalità all’altra, dato che non è sufficiente spingere una levetta. Se in ambito escursionistico si tratta di un aspetto abbastanza irrilevante, il discorso cambia in campo agonistico, dove ogni secondo conta ed è richiesta una certa lucidità per non ritrovarsi a dover impostare il corretto assetto in momenti critici.

Scorrendo la tabella delle geometrie colpiscono i 423 mm di chainstay, quota molto contenuta per una bici di questa tipologia. Notare come le quote della versione Race sono praticamente shiftate avanti di una taglia rispetto a quelle della versione Regular, nel senso che la L della versione Regular corrisponde praticamente ad una M della Race. Dato che la quota di chainstay resta invariata e ad allungarsi è sostanzialmente il triangolo principale, per evitare una posizione di guida troppo allungata ed enfatizzare al massimo le prestazioni discesistiche, le versioni Race prevedono l’utilizzo di stem più corti.

Analisi statica

Nonostante due cavi in più rispetto alla maggioranza delle enduro montate monocorona, grazie al routing interno ed al dispositivo Shapeshifter discretamente posizionato, la vista laterale della Strive è filante e pulita. A differenza di altre versioni a catalogo, la colorazione nero/grigio con ruote nere la rende più elegante che aggressiva.

La linea è quella adottata sulla gran parte dei modelli full della casa tedesca, con un top tube “gobbuto” a ridosso della scatola sterzo, la cui marcata pendenza viene ripresa dai foderi superiori del carro formando una linea retta che si protrae praticamente sino al mozzo della ruota posteriore (il punto di congiunzione dei due foderi è in realtà spostato qualche mm più avanti rispetto all’asse ruota). Oltre che esteticamente gradevole e con una quota di standover contenuta, il risultato è molto buono in termini di rapporto fra  robustezza  e peso. Canyon dichiara infatti 2.4 kg per il telaio completo di Shapeshifter.

Il nero opaco del telaio in carbonio evidenzia in alcuni punti la classica finitura di questo materiale, volutamente lasciata in vista. Se la vostra Strive presenta delle irregolarità nella tinta non dovete quindi preoccuparvi, perchè non si tratta di un difetto ma di una cosa voluta… Per quanto riguarda la cura dei dettagli, il livello raggiunto sui prodotti della casa tedesca non è più una novità. Vedere i punti di passaggio dei cavi nel telaio, piuttosto che le protezioni integrate o il tendicatena anch’esso integrato al fodero inferiore.

Se la vista laterale è pulita e filante, non altrettanto si può dire della zona manubrio. Da qua non solo partono tutti e sei i cavi, ma è anche necessario posizionare in modo soddisfacente ben sei comandi con altrettanti collarini di fissaggio. Se ciò non bastasse, mentre il comando dello Shapeshifter deve essere posizionato esternamente rispetto al freno, per quello del Reverb è l’esatto contrario. Come si vede in foto abbiamo scelto il danno minore, rassegnandoci ad un’angolazione del pulsante del Reverb non ottimale.

Sarà una fissa personale, ma per quanto riguarda il freno posteriore sarebbe stato preferibile il passaggio esterno, molto più pratico nel caso il freno andasse smontato (e quindi rimontato). Al di là di dove passa il tubo, gli Shimano XT si sono confermati fra i migliori impianti frenanti in circolazione.

Ottimo ed efficace il tendicatena integrato al fodero inferiore, basculante sia lungo l’asse longitudinale che laterale. Mai avuto una sola caduta di catena durante tutto il test.

Protezioni integrate in materiale plastico sia sull’obliquo che sul fodero inferiore. Il fodero superiore è protetto da una pellicola trasparente, mentre una placchetta metallica protegge il fodero inferiore da eventuali risucchi di catena.

Al di là dei condizionamenti psicologici, discriminare sul campo la differenza di rigidità fra un perno passante da 15 mm ed uno da 20 mm non è così semplice. E’ tuttavia un peccato che le pur ottime ruote DT Swiss EX 1501 Spline One costringano ad adottare un perno da 15 mm su una forcella dalle prestazioni e struttura della Fox Float 36. La bici ci è arrivata con camere d’aria, ma in dotazione sono fornite le valvole originali DT Swiss per la conversione in tubeless.

La doppia Race Face Turbine è leggera, fluida nella cambiata e, a dispetto della discreta quantità di polvere trovata nel periodo del test, esente da scricchiolii. La corona inferiore da 22 denti è un’ancora di salvezza per i meno allenati e lascia intuire come questa versione della Strive non sia stata pensata in ottica strettamente race. La mancanza del bash, molto utile sui tecnici sentieri montani, è però una pecca che in un certo senso la rende nè carne nè pesce, visto che in ambito agonistico di norma si preferisce la singola.

Stem da 60 mm e piega da 760 mm evidenziano l’intento di dare una maggiore polivalenza rispetto alle versioni race. La cosa ha un senso, ma per gusto personale avrei preferito uno stem un po’ più corto, anche perchè la posizione in sella non è eccessivamente raccolta. Allo stesso modo, considerata la taglia, non mi sarebbe dispiaciuta una bella piega da 780 mm come quella montata sulla race (a tagliare si è sempre in tempo). Peccato che il Reverb con 150 mm di abbassamento non sia disponibile nel diametro di 31.9 mm, opzione che sarebbe più sensata su una taglia L con seat tube da 460 mm.

Salita scorrevole

Settato lo Shapeshifter in modalità xc, gli angoli sella e sterzo diventano praticamente quelli di una all mountain. Anzi, anche meglio se si considera il sag contenuto della sospensione settata a 130 mm di travel. Oltre all’ottimizzata trasmissione della potenza ai pedali e la favorevole distribuzione del peso, il grosso vantaggio è quello di una posizione poco affaticante nelle lunghe pedalate e sul ripido. Il carro non è dei più fermi sotto l’influsso della pedalata, ma il DB Inline settato in posizione salita fa il suo lavoro stabilizzandolo a dovere. La Float 36 non dispone invece di un comando che ne permetta il blocco (o quasi) con un click. Chiudendo entrambi i registri della compressione si ottiene un effetto molto simile, ma si tratta di una soluzione molto meno pratica e poco attuabile in caso di salite brevi e frequenti. Al netto del peso globale e di quello del set ruote che a pari fascia saranno inevitabilmente maggiori, le sensazioni sono in definitiva molto simili a quelle che si hanno pedalando una buona all mountain.

Salita tecnica

Quando si tratta di dover superare ostacoli di una certa misura, emergono in modo ancora più evidente i vantaggi dati dallo Shapeshifter. La sospensione posteriore assorbe il giusto per garantire un’ottima motricità, ma non così tanto da insaccare alleggerendo l’anteriore o innescare fastidiosi fenomeni di pedal kickback. La maggiore altezza da terra del movimento centrale abbinata al minore sag permette inoltre di mantenere una pedalata costante senza il timore di picchiare i pedali sul terreno. Molto buona anche la direzionalità dell’anteriore e la capacità di districarsi nello stretto grazie alla distribuzione dei pesi ben avanzata. Poche altre bici di questa categoria salgono così bene sul tecnico, e anch’esse sono da cercare fra quelle che dispongono di sistemi di riduzione del travel.

Discesa veloce e sconnessa

Come abbiamo visto la Strive in versione Regular Geometry ha geometrie meno estreme rispetto alla sorella Race, ma una volta settata in DH mode può comunque contare su un angolo sterzo discretamente disteso, un’altezza contenuta del movimento centrale (circa 343 mm) e 170 mm di corsa anteriore gestiti da una forcella da molti considerata il nuovo riferimento per la categoria. La risposta della sospensione posteriore con il settaggio dell’ammo proposto da Canyon è piuttosto lineare su grande parte della corsa, con una buona progressività negli ultimissimi millimetri che contrasta abbastanza efficacemente i finecorsa. Il risultato è che la bici è molto stabile e sicura sui fondi sconnessi e veloci, dove perdona anche una guida poco attiva o qualche distrazione di troppo. La linearità della sospensione posteriore permette di sfruttare gran parte dei millimetri a disposizione anche ad andature “umane”, con l’unica pecca di non essere un mostro di reattività in quanto tende ad assorbire anche gli input del pilota. Il sag del 25% suggerito da Canyon (misura da rilevare seduti con la sella ad altezza piega) ci è parso un ottimo compromesso fra prestazioni e comfort. Le caratteristiche della sospensione permettono in ogni caso ai più aggressivi di scendere di qualche punto percentuale senza che il retrotreno diventi troppo nervoso.

Quello descritto è il comportamento della sospensione con il settaggio proposto da Canyon. Il Double Barrel InLine permette in realtà un elevatissimo livello di personalizzazione: oltre a poter modificare la risposta elastica mediante il numero di spacers presenti nella camera dell’aria (3 nel caso della bici in test), sono infatti presenti quattro registri idraulici per il settaggio high e low speed sia in compressione che in estensione (per approfondimenti su questo ammortizzatore vi rimandiamo a questo articolo di Francesco Mazza).

Se mettendovi mano temete di fare danni, o semplicemente vi sembra un’inutile complicazione, niente paura: con la bici viene fornita una tabellina riportante il settaggio con cui la bici vi è stata consegnata. Ritorno delle high speed a parte, che abbiamo leggermente velocizzato, gli altri settaggi idraulici ci sono parsi azzeccati ed adatti ad un utilizzatore “medio”. Nulla vieta, quindi, di lasciare tutto com’è senza complicarsi più di tanto la vita.

Discesa guidata

Se spesso le bici molto performanti sul veloce pagano pegno nel guidato, questo non è il caso della Strive CF 8.0 Carro corto e movimento centrale basso la rendono efficace e facile nelle curve in sequenza senza che venga richiesto un eccessivo avanzamento dei pesi, in questo facilitati anche dallo stem relativamente lungo. La Strive paga invece qualcosa quando si richiede la massima reattività al retrotreno, quindi curve in appoggio piuttosto che sezioni dove bisogna “pompare” per alleggerire o alzare le ruote da terra. La sospensione posteriore, come detto piuttosto lineare, tende infatti ad assorbire l’energia impressa, e questo è il motivo che ci ha spinti a velocizzare leggermente la velocità di ritorno rispetto al settaggio previsto da Canyon.

Ripetiamo però che questo è il comportamento utilizzando l’ammortizzatore nella configurazione proposta da Canyon, e la progressività può facilmente essere aumentata aumentando il numero degli air spacer presenti nella camera dell’aria. La procedura è molto semplice e non richiede neppure di smontare l’ammortizzatore, ma purtroppo non sono forniti con la bici, il che non ci ha permesso di sperimentare in tal senso. A meno di non essere dei biker davvero “tranquilli”, è invece abbastanza improbabile che si senta la necessità di toglierne per ottenere una risposta più lineare.

Sempre con riferimento al settaggio proposto da Canyon, nei rilanci abbiamo rilavato una sorta di doppia anima: molto efficace quando sufficientemente lunghi perchè valga la pena di passare in modalità xc, a full travel il bobbing si fa invece sentire.

Discesa tecnica

Nel tecnico lento siamo stati positivamente sorpresi dall’agilità e dalla facilità con cui la bici si lascia giostrare in nose-press nei passaggi più angusti. Sul ripido gradonato avremmo invece desiderato una posizione leggermente più raccolta, facilmente ottenibile montando uno stem più corto. In questo genere di situazioni conviene chiudere con decisione l’efficace registro della compressione low speed della Fox Float, che altrimenti affonda eccessivamente. La mancanza del bash richiede attenzione nel copiare i gradoni più alti, e nel caso ci si cimenti frequentemente su questo tipo di terreno un taco è praticamente d’obbligo.

Conclusioni

Se il sistema reggerà anche alla prova dell’affidabilità nel lungo termine, con lo Shapeshifter Canyon ha fatto centro. Ottima in salita ed in generale nel pedalato, in discesa la Strive CF 8.0 è stabile e sicura  sul veloce senza richiedere per questo una guida troppo aggressiva nel guidato. Nulla da ridire sul livello del montaggio in rapporto al prezzo, ma alcune scelte potevano essere più oculate.

Inconvenienti riscontrati durante il test

Fianco della copertura posteriore tagliato alla prima uscita. Al suo posto è stata montata una Onza Ibex.

Peso rilevato tg.L (senza pedali – con camere d’aria):  13.64 kg

Prezzo:  3799 Euro

canyon.it

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