YT è un marchio che nel giro di pochi anni si è saputo guadagnare una grossa popolarità non solo con un marketing molto aggressivo, ma anche proponendo bici qualitativamente valide ed esteticamente accattivanti a prezzi estremamente concorrenziali. Ad aprire in un certo senso la strada a questo nuovo corso è stata la Capra, modello da enduro inizialmente proposto in formato 27.5″ ed ora disponibile anche con ruote da 29″.
YT ci ha mandato in test proprio la versione con le ruote di diametro maggiore nell’allestimento CF Pro, quello di livello di intermedio fra i tre proposti con telaio carbon. Due invece gli allestimenti previsti per la versione in alluminio, che a livello di telaio si differenzia solamente nel materiale impiegato.
Tutti gli allestimenti prevedono forcelle da 160 mm di corsa, stesso valore che troviamo al posteriore. Fa eccezione la top di gamma CF Pro Race, che pur utilizzando il medesimo telaio nella versione in carbonio ha 170 mm di travel sia all’anteriore che al posteriore e geometrie leggermente più aperte (mezzo grado a livello di angolo sterzo). L’incremento di travel alla ruota posteriore è ottenuto montando un ammortizzatore di pari interasse ma con 5 mm di corsa in più.
Abituato da sempre ad utilizzare bici in taglia L, al momento di richiedere la bici per il test sono rimasto abbastanza sorpreso vedendo che secondo YT i miei 187 cm mi facevano cadere nel bel mezzo del range di statura indicato per la taglia XL, e comunque oltre quello suggerito per la taglia L.
Al di là dell’aspetto psicologico, e per quanto le taglie YT non siano grandi, si trattava pur sempre di avere a che fare con un interasse di 1252 mm abbinato a ruote da 29″ e ad un angolo sterzo di 65.5°. Ad aumentare le perplessità il fatto che le taglie XL ed XXL adottano un carro più lungo rispetto alle M ed L, con una quota di chainstay che passa da 435 mm a 440 mm.
Fatto questo bel preambolo arriviamo al punto: dopo aver utilizzato la Capra a lungo e sulle più svariate tipologie di percorsi, posso dire che le indicazioni di YT sono valide, e che tornando indietro risceglierei senza il minimo indugio la taglia XL.
Per il resto la Capra adotta le geometrie che ormai vanno per la maggiore su questo genere di mezzi, quindi angoli aperti, reach abbondanti e seat tube corti abbinati a top tube ben inclinati per contenere la quota di standover.
Un dispositivo “flip chip” consente di scegliere fra due diversi assetti con una variazione degli angoli di circa mezzo grado e di 9 mm sull’altezza del movimento centrale. Movimento centrale che, anche nella posizione più bassa e discesistica, mantiene la più che accettabile altezza di 348 mm.
Uno dei fattori che ha favorito il successo di questo modello sin dalla sua comparsa, ormai cinque anni fa, è stata l’estetica vincente. Rispetto ad allora sono stati introdotti affinamenti anche a livello estetico, ma la linea resta sostanzialmente quella slanciata originale, ancora molto attuale e gradevole. Per chi trovasse la colorazione della bici in test un po’ anonima segnaliamo che lo stesso modello viene proposto anche in una più vistosa colorazione “blood red/gore red” (un rosso bello acceso).
La sospensione posteriore è gestita da un quadrilatero con giunto Horst, ed il carro si contraddistingue per la grande compattezza in senso verticale. Per prevenire flessioni alle quali un design di questo tipo potrebbe facilmente essere soggetto a causa dell’angolo fra i foderi molto chiuso, i dimensionamenti sono generosi sia a livello di carro che di triangolo principale. Sia i foderi superiori che quelli inferiori sono inoltre collegati da un ponticello di irrigidimento, nel secondo caso ben mimetizzato a ridosso della scatola del movimento centrale. Il particolare forse più massiccio, che in un certo senso caratterizza anche l’estetica della bici, è tuttavia il “ponte” di collegamento fra obliquo e seat tube sul quale è infulcrata la biella di rinvio dell’ammortizzatore.
Pur non essendo presenti dettagli o soluzioni particolari, la cura realizzativa è in generale molto buona. Assenza dell’attacco per il portaborraccia a parte, si può dire che pur senza inventarsi nulla di particolare YT ha svolto i compiti come si deve.
Come detto YT utilizza da tempo su alcuni dei propri modelli un dispositivo Flip Chip che permette di impostare due diversi assetti geometrici. Il tutto consiste in una piastrina con un foro decentrato, alloggiata nei foderi superiori, grazie alla quale la posizione del perno di fissaggio dell’ammortizzatore varia di qualche millimetro. In altre parole è come poter cambiare l’interasse dell’ammortizzatore ottenendo un assetto della bici più o meno “seduto”.
In linea teorica il passaggio da una posizione all’altra è fattibile anche sul campo: le due piastrine (una per lato) vanno rimosse, ruotate di 180° e reinserite nella nuova posizione.
Limiti di una soluzione di questo tipo a parte (bisogna fermarsi, agire con due chiavi e fare attenzione a non smarrire le piastrine), quando in passato avevo utilizzato il Flip Chip sulla Jeffsy non avevo riscontrato alcun problema.
Nel caso della Capra in test estrarre il perno era invece molto difficoltoso, al punto da far passare la già scarsa voglia di farlo nel corso di un’uscita. Il problema era dovuto ad una leggera bombatura del perno sul lato con il foro filettato, probabilmente causata proprio dalla lavorazione richiesta per ricavare foro e filettatura. In considerazione delle passate esperienze è ragionevole credere che si trattasse di un singolo pezzo uscito male, ed in ogni caso il problema sarebbe stato facilmente risolvibile con una leggera passata al tornio.
Il passaggio cavi è interno al telaio. Efficaci le placchette di fissaggio a ridosso del movimento centrale, mentre i gommini conici adottati negli altri punti di ingresso – in particolare quelli che si vanno ad inserire in zona tubo sterzo – tendono ad uscire dalla sede.
Più “fighe” delle classiche fascette da elettricista ma non molto efficaci anche le placchette plastiche utilizzate per tenere uniti i cavi.
Le protezioni sono efficaci e ben posizionate. Il fodero inferiore lato trasmissione è protetto anche internamente, così come è protetto quello superiore dagli sbattimenti della catena. Intelligente la soluzione di prolungare la protezione dell’obliquo fin sotto il movimento centrale, zona che come le foto testimoniano è piuttosto esposta alle sassate. Non manca la classica placchetta metallica a protezione del fodero nel caso di risucchio catena.
Le sospensioni sono entrambe della serie Float Performance Elite di Fox, unità che poco hanno da invidiare alle sorelle maggiori della serie Factory.
Nella 36 ho inserito due riduttori di volume, cosa che assieme ad un valore di pressione un poco superiore a quello consigliato per mio peso mi ha consentito di non dover mai ricorrere all’idraulica in modo troppo invasivo.
Il DPX2 è un ammortizzatore che mi piace moltissimo, a mio giudizio più performante del SuperDeluxe di RS ed al contempo più leggero e meno problematico da settare dell’X2 della stessa Fox. Particolarmente utile il fine tuning della compressione in modalità open, grazie al quale si può ottimizzare l’efficacia della sospensione in fase di pedalata.
All’interno dell’ammortizzatore era inserito un riduttore di volume da 0.2 in³, il più piccolo della serie. Piuttosto elevato il valore di pressione dell’aria richiesto dal carro della Capra, nel mio caso (circa 75 kg ignudo) oltre 220 psi per un sag del 35%.
Le geometrie attuali hanno portato ad utilizzare stem che fino a qualche anno fa sarebbero sembrati molto corti. Lo stesso dicasi per le pieghe, le quali sono però andate allargandosi. Sulla Capra troviamo due componenti della collaudata serie Turbine di Race Face, rispettivamente nella misura di 40 mm e 800 mm. I 35 mm di rise della piega e la serie sterzo High Cap di Acros determinano un’altezza dell’appoggio che personalmente ho trovato perfetta, ma il consiglio è quello di farsi lasciare il cannotto della forcella il più lungo possibile accorciandolo all’occorrenza.
Non adottando componentistica di un’unica famiglia, su nessuno dei due lati della piega è stato possibile raggruppare i vari comandi su un solo collarino. Al di là del fattore estetico e di un irrisorio incremento di peso, tutte le leve si trovano comunque in posizione ottimale.
Sempre in tema leve, quelle dei freni Code RSC hanno mantenuto un perfetto feeling dal primo all’ultimo giorno di test, garantendo una frenata precisa e potente come si conviene ad un impianto orientato al gravity. I dischi sono da 200 mm sia davanti che dietro.
Nulla di cui lamentarsi a livello di funzionamento per quanto concerne il telescopico Fox Transfer, che però non è disponibile con più di 150 mm di abbassamento. Pochi per una taglia XL.
Come la foto testimonia i cerchi e*thirteen hanno confermato di non brillare per solidità. Giudizio ultrapositivo invece per le coperture della stessa e*thirteen, non molto scorrevoli sui fondi compatti ma con un grip da fare invidia alle “solite note” ed una resistenza all’usura molto buona in rapporto alla morbidezza della mescola. Per un utilizzo prevalentemente discesistico difficile desiderare di meglio, se invece le salite ve le dovete pedalare, magari su asfalto ed in condizioni estive, una copertura posteriore più scorrevole avrebbe un senso.
La trasmissione è un pot-pourri di marchi: guarnitura Race Face 32T, cambio e catena Shimano, cassetta e*thirteen 9-46T 11V. L’impressione è che la cambiata sia un po’ più rumorosa rispetto ad un gruppo completo Shimano, ma a livello di efficacia nessun problema. Della serie TRS+ di e*thirteen è anche il guidacatena con bash, accessorio molto utile sui sentieri più tecnici.
Nonostante lo stem corto, con ben 642 mm di lunghezza del top tube la posizione di pedalata è sufficientemente distesa. Qualche problema lo può tuttavia avere chi ha molto fuorisella, dato che la forte inclinazione del seat tube porta ad una posizione piuttosto arretrata del bacino. È questo il mio caso, e per risolvere almeno parzialmente la cosa è stato necessario portare la sella nella posizione più avanzata possibile. L’assetto geometrico più verticale sarebbe un ulteriore aiuto, ma come detto il flip chip della bici in test ha dato qualche problema di praticità. Inoltre l’esperienza insegna che con dispositivi di questo genere tipicamente si finisce con impostare l’assetto più discesistico e dimenticarsene.
Trovata una posizione accettabile, sui fondi scorrevoli la Capra si è dimostrata una discreta scalatrice, migliorabile su asfalto o sterrato molto compatto montando una copertura posteriore più scorrevole.
Il Fox DPX2 è ben frenato nella posizione firm, annullando qualsiasi oscillazione del carro. La posizione intermedia del registro permette invece alla sospensione di restare ben attiva, per cui la motricità sul tecnico è molto buona. Molto buona anche la direzionalità sul ripido, facilitata dal carro non troppo corto.
Come è logico attendersi, una bici del genere non è l’arma definitiva per affrontare le salite più contorte e nervose, ma quando è possibile tenere un’andatura regolare ci si destreggia discretamente bene anche sul tecnico.
Se per un mezzo di questo tipo la sufficienza piena alla voce salita è un buon risultato, in discesa è invece lecito attendersi ben di più, e come vedremo la Capra non delude.
Grazie al reach abbondante ed al carro non troppo corto gli spostamenti di peso non innescano mai reazioni imprevedibili, cosa che sommata al lungo interasse ed al lavoro ineccepibile delle sospensioni rendono la Capra estremamente stabile e sicura sul veloce e sconnesso. Specie chi proviene da una enduro “old style” si troverà a dover ricalibrare i propri parametri di guida sia nella scelta delle linee, ora molto più dirette, che nella gestione della velocità.
Che questa endurona tedesca sia stata pensata per dare il massimo sui fondi più impegnativi lo testimonia anche la curva di compressione della sospensione posteriore, sensibile ad inizio corsa ma fortemente progressiva e capace di incassare senza battere ciglio anche urti molto violenti, il che ha permesso di utilizzare un sag di poco inferiore al 35% senza incappare in frequenti fondocorsa. La presenza nell’ammortizzatore dello spacer più piccolo della serie permetterebbe di incrementare ulteriormente la progressività, ma dubito che qualcuno sentirà questa esigenza. Togliendo lo spacer non si notano invece cambiamenti drastici nella risposta della sospensione, ma è comunque un’opzione da prendere in considerazione se si dovesse faticare a sfruttare la corsa o per avere una risposta un filo più “morbida” sugli urti di media entità. Da questo punto di vista bisogna però essere chiari: questa bici è stata pensata per andare veloci su terreni impegnativi, con una curva di compressione calibrata di conseguenza ma che, anche grazie al registro di fino della compressione, consente una buona efficacia nei rilanci ad ammo aperto.
Ma ora viene il bello, perchè anche nel guidato la Capra è tutt’altro che impacciata e rivela un’agilità sulla quale sarebbe stato difficile scommettere. Ovviamente anche questa caratteristica emerge soprattutto nelle situazioni più impegnative per fondo e pendenza, e per l’ennesima volta ricordiamo che le moderne enduro richiedono una guida piuttosto aggressiva, ma resta il fatto che su percorsi ben noti caratterizzati da sezioni lente e tortuose, non ho mai rimpianto bici più corte e sulla carta più agili.
Pensandoci non ho trovato un motivo particolare che spieghi la cosa, evidentemente dovuta ad una somma di fattori, non ultimo le geometrie ormai ben affinate delle enduro 29″. Da questo punto di vista credo sia vincente anche la scelta di allungare il carro sulle taglie maggiori, cosa che non impigrisce la bici, ma contribuisce invece a mantenere il corretto equilibrio fra le quote e di conseguenza un comportamento molto bilanciato.
Più volte ho sentito teorizzare che le geometrie aperte sarebbero poco adatte al tecnico trialistico, e da tempo penso non sia affatto vero. La Capra me ne ha dato conferma, trovandola più impacciata di bici meno “estreme” solamente sulle curve lente e poco pendenti, oppure quando talmente “impiccate” che la bici non ci sta fisicamente. Non ricordo comunque un solo passaggio, fra quelli chiusi con altre bici, che con la Capra non sia riuscito a superare, mentre ne ho presenti almeno un paio passati indenni al primo tentativo quando solitamente ci sbatto il naso almeno un paio di volte (chiaramente può essere stato un caso legato alle condizioni o stato di forma della giornata, ma di certo la bici non è stata limitante).
Traslando il discorso all’eterna diatriba 27.5″ vs 29″, questo test conferma che allo stato attuale le 27.5″ mantengono alcuni vantaggi legati alle caratteristiche intrinseche del diametro minore, non tanto sul fronte dell’agilità intesa come capacità di destreggiarsi nel tortuoso, quanto piuttosto in termini di “giocosità” (rapidità nei cambi di direzione, facilità ad alzare le ruote da terra etc.).
La Capra 29 CF Pro soddisfa in toto quelli che sono i requisiti per una moderna enduro: prestazioni discestiche da miniDH, in questo caso con il plus di un’ottima agilità, e capacità di lasciarsi pedalare fino all’inizio delle discese. In salita non è un missile, ma questo è un male comune alla maggior parte delle endurone di ultima generazione. In quanto marchio con vendita diretta online, il rapporto qualità/prezzo è inoltre difficilmente battibile dai modelli che si affidano ai canali di distribuzione tradizionali.
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