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Colore giallo fluo ed un design molto particolare contraddistinguono la Commencal AM Meta V4, una bici sicuramente vistosa e che si fa notare. Come però si è comportata in oltre due mesi di test sul campo?
Partiamo subito con le specifiche. La Commençal Meta AM V4 è una bici da enduro in alluminio, con ruote da 27,5″, 150mm di escursione posteriore e 160mm all’anteriore. La taglia da noi testata è una L che con i 618mm di orizzontale virtuale (#6) ed i 490mm di altezza piantone sella (#1) è la più adatta alle misure antropometriche del tester, alto 1,83cm.
A livello geometrico il telaio della Meta AM v4 è molto moderno. Il piantone sella è bello verticale (74°), così come la lunghezza dell’orizzontale virtuale ed il carro posteriore sono piuttosto generose. L’angolo sterzo è in linea con altri modelli di pari categoria (66°) e nel complesso risulta ben bilanciato, né troppo aperto né troppo chiuso. Il movimento centrale, come oramai su quasi tutte le enduro moderne, è invece piuttosto basso. Il risultato di quest’assetto geometrico è che sin da subito la Meta AM v4 risulta piuttosto lunga, come dimostra anche il passo di ben 1193mm. Un bene o un male? Lo vedremo più avanti, ad ogni modo quest’assetto geometrico andrà ad influenzare fortemente le caratteristiche di guida della bici.
Cinematicamente la Meta è un monocross con infulcro all’altezza della corona da 34T e nella guida si percepiscono le caratteristiche di questo schema di sospensione. La curva di compressione è invece gestita da una serie di aste e bielle (foderi alti e biella superiore) che rendono la curva piuttosto progressiva. Non abbiamo mai avuto problemi di fine corsa ed all’inizio la sospensione si è rivelata bella burrosa, segno che il carro della Meta ed il Monarch lavorano in perfetta armonia.
Come detto il telaio della Meta AM è completamente in alluminio, con un top tube piuttosto particolare nella cui parte inferiore è ricavato un incavo dove è incassato l’ammortizzatore posteriore. Per ottenere questa lavorazione il top tube è composto da 3 pezzi saldati tra loro, con le saldature ben visibili sul top tube. Se l’estetica può piacere o meno (le saldature così a vista sono non sono così eleganti), all’atto pratico bisogna ammettere che, a parte la difficoltà nel pulire la bici, l’ammortizzatore rimane piuttosto a portata di mano e si riesce quindi a cambiare le tre modalità del Monarch Plus RC3 DebonAir con estrema facilità, anche senza comando remoto.
Altra particolarità è l’attacco freno, posizionato all’interno dei foderi. Se a livello di design è una soluzione sicuramente accattivante, a livello di funzionalità ci ha lasciati un po’ perplessi. I foderi, per poter ospitare l’attacco, sono infatti più larghi rispetto al normale. Se questo da un lato incrementa la rigidità del telaio, dall’altro crea problemi di interferenza con il tallone, specialmente usando scarpe con suola larga come quelle della foto precedente. Abbiamo bypassato il problema usando scarpe “a stivaletto”, alte ma con la suola stile XC bella stretta, ma siamo consci che per i giri in alta montagna questo tipo di scarpe non è certo la scelta migliore.
Passiamo ora alla componentistica. Ricordiamo che la bici da noi testata è la Meta AM V4 Race Plus Rock Shox Yellow, sul sito Commençal esistono numerosi allestimenti e la possibilità del montaggio a la carte, ovvero personalizzato.
Come reparto sospensione troviamo una Rock Shox Pike RCT3 davanti ed un Monarch Plus RC3 DebonAir. Abbiamo parlato tantissimo di queste sospensioni e non possiamo che confermare anche in questa occasione il loro ottimo comportamento.
Promosso a pieni voti anche il reggisella telescopico Reverb Stealth da 125mm, sempre di casa Rock Rock Shox. Molto validi anche i Guide RS: anche se un filino più stancanti per le dita rispetto ad altri freni, sono comunque modulabili ed affidabili. Promosso a pieni voti il gruppo X1, che ha ben poco da invidiare ai fratelli maggiori X01 ed XX1 se non il peso. Anche la guarnitura Race Face Turbine Clinch è ottima e permette di montare ogni tipo di corona senza alterare la linea catena. Dobbiamo comunque ammettere che la scelta del 34T è un po’ troppo race. Una corona così grande è ottima per le gare, ma troppo grossa per i giri in montagna.
Passiamo ora al trittico ed alle ruote, tutti componenti marchiati Alpha, la linea di componentistica di Commencal.
Il manubrio, largo 750mm ha una bella geometria, anche se ci siamo trovati meglio a posizionarlo piuttosto ruotato in avanti, forse per il marcato backsweep. Grazie anche alla pipa da 50mm la posizione di guida si è rivelata sin da subito ottimale, posizionando il busto del rider piuttosto avanzato ed aiutandolo a tenere una posizione aggressiva, perfetta per una bici lunga come la Meta che va guidata tutta sull’anteriore. Non a caso, per rendere ancora più aggressiva la posizione di guida, abbiamo tolto tutti gli spacer possibili da sotto l’attacco.
Anche la sella, sempre Alpha, non è malvagia. Per quanto i giudizi sulle selle siano sempre soggettivi, ci è parsa comunque comoda, semplice, ma robusta.
Passiamo ora alle ruote, anch’esse Alpha. Se sulla carta con un canale da 23mm interno ed il cerchio Tubeless Ready sembrano interessanti, purtroppo sul campo non ci hanno soddisfatto. Innanzitutto sono pesanti, soprattutto i cerchi. Pur non avendo pesato i singoli componenti della ruota, ci si rende subito conto sollevando la ruota senza gomma che buona parte del peso è sul cerchio, verso l’esterno.
Peso a parte però, quello che meno ci è piaciuto delle ruote Alpha è la scarsa tenuta della gomma da parte del cerchione. Abbiamo subito ben due stallonamenti durante il test, uno tra l’altro in gara che ha causato la rottura della carcassa dello pneumatico. Già montando le gomme ci si rende conto che salgono troppo facilmente e che faticano a tallonare, con vistose perdite d’aria quando si cerca di gonfiarle, anche con il compressore. Qualcuno potrebbe imputare il problema alle gomme, ma non è così perchè le Maxxis High Roller II TR non danno quasi problemi di tenuta. La causa del problema è da ricercare proprio nel profilo del cerchio. Non soddisfatti comunque, abbiamo provato anche con altri copertoni tendenzialmente molto “tenaci” e resistenti allo stallonamento (WTB Trail Boss), ma durante un utilizzo un po’ spinto, abbiamo comunque notato fuoriuscire del lattice dalla spalla, segno che la gomma, sotto stress si sollevava dal tallone facendo fuoriuscire il liquido sigillante.
Insomma, dobbiamo essere onesti: le ruote della Meta sono il punto debole dell’allestimento, soprattutto se confrontate con il resto della componentistica che è invece curato e di buon livello.
Con un peso di 13,5kg (senza pedali, peso rilevato, ndr) la Meta è nel complesso leggera. Sicuramente non è un peso record, ma è comunque molto buono per una bici da enduro sui 150-160mm. In salita sullo scorrevole impostando la modalità “firm” delle sospensioni, la bici sale molto bene. A sospensioni aperte si rivela un leggero effetto bobbing, soprattutto quando si pedala con cadenze elevate. Un comportamento sicuramente accentuato dal Monarch Plus DebonAir, molto plush nella prima parte, ma dovuto comunque alla cinematica della sospensione. Ad ogni modo con la modalità “firm” o con quella intermedia dell’ammortizzatore, queste oscillazioni vengono quasi completamente smorzate dall’idraulica e quindi non costituiscono un problema in pedalata.
La posizione in sella sulla Meta è piuttosto “lunga”, ovvero si pedala piuttosto distesi. Questo è un indubbio vantaggio sulle salite più ripide poichè la bici tende ad impennarsi con molta difficoltà. Di contro sul ripido il vero limite è la corona da 34T che obbliga spesso a scendere a piedi se il muro è più lungo di qualche di centinaio di metri. Per un uso escursionistico-ricreativo o volendo comunque mantenere una buona pedalabilità anche sul tecnico, una corona da 30 o 32T è la scelta migliore.
Sul tecnico la bici si arrampica bene, complice appunto l’assetto piuttosto disteso, e lo schema di sospensione assicura un buona trazione. Non ci troviamo di fronte ad una bici che spiana tutto e ma, ma anche quando ci si alza in piedi sul pedali (e con il monocorona da 34T è l’unico modo per affrontare i tratti ripidi) la sospensione è stabile, non si infossa e quando si spinge sui pedali la bici avanza senza troppe esitazioni, soprattutto se si tiene l’ammortizzatore in modalità intermedia. Unica pecca? Il movimento centrale è basso ed è facile zappare con le pedivelle, ma questa è una caratteristica del 90% delle enduro moderne.
Sulle lunghe percorrenze la posizione in sella piuttosto distesa non ha mai creato particolari problemi, anzi.
Le bici da enduro non sono tutte uguali: ci sono le “endurine”, che strizzano l’occhio più alla pedalata, con un telaio leggero scattante e reattivo e le “endurone”, più schiacciasassi e “spianatrici”. Dovendo classificare la Commencal la inseriremmo nella prima categoria.
La prima impressione della Meta AM V4 è di una bici piuttosto race. E’ lunga, incredibilmente stabile sul veloce e soprattutto sul ripido. Farla impuntare è quasi impossibile, a meno di non farlo fare qualche stupidaggine e la sensazione di sicurezza sui tratti ripidi è incredibile. Spesso basta lasciar correre la bici per uscire fuori da situazioni che sembravano potersi concludere solo con un ribaltamento epico. Non c’è d’altronde da stupirsi: con un angolo di sterzo aperto, il reach ed un passo piuttosto lunghi, non ci si poteva aspettare altro dalla Meta se non una bici sicura anche sui tratti più tecnici e pendenti.
Analogamente anche sul veloce la bici va come un missile: stabile e sicura, basta solo lasciarla correre.
Al contrario però è sullo stretto che queste geometrie così allungate svelano il rovescio della medaglia. Con la Meta bisogna impostare bene le curve anticipandole come si deve, non si può improvvisare un tornantino stretto se non affrontandolo con la giusta traiettoria. Anche sui rapidi cambi di direzione la bici non eccelle in quanto a maneggevolezza ed agilità, pur mantenendo comunque una buona guidabilità, merito anche di uno schema di sospensione abbastanza reattivo che permette di giocare molto con la bici, sfruttando magari le asperità del terreno come rampe per fare cambi di direzione in aria.
Quello che viene fuori insomma dalla prova sul campo è quello che ci si può facilmente dedurre dalla tabella delle quote geometriche: la Meta è una bici molto stabile sul ripido, sullo scassato e sul veloce, ma paga qualcosa in termini di guidabilità. A chi piace il brivido della velocità questo non può che far piacere, diverso è il discorso per chi preferisce i sentieri tortuosi a zig zag in mezzo al bosco.
A livello di schema di sospensione l’assorbimento delle asperità è piuttosto buono, soprattutto alle alte velocità, anche se la bici rimane comunque piuttosto reattiva, specialmente in frenata dove un pochettino tende a scalciare. Non dimentichiamoci che in fondo è un monocross ed un po’ di inibizione in frenata è una caratteristica che accomuna tutti i telai con questo schema di sospensione. Quando impari a gestirla, diventa anche divertente.
Se la sospensione posteriore non è uno schiacciasassi in discesa, questa reattività diventa vantaggiosa sui rilanci, situazione da cui la Meta esce sicuramente vincente. Quando si pedala in discesa la bici non tende mai ad infossarsi eccessivamente, rimanendo nel complesso scattante e reattiva. L’impressione è di un buon anti-squat, ovvero che la sospensione si irrigidisca quando ci si alza in piedi sui pedali.
“Come è possibile? Non avevate detto che in salita la bici risentiva di bobbing?” Non ci stiamo rimangiando quello che abbiamo detto nel capitolo della salita, confermiamo le due cose. Non è infatti impossibile che un telaio “bobbi” leggermente ma risulti comunque piuttosto stabile sui rilanci. Si tratta di due fenomeni diversi che non devono per forza coesistere insieme. Nel caso della Meta il fenomeno dello squat, ovvero dell’affondamento quando si rilancia in piedi sui pedali, è efficacemente contrastato dal tiro catena che impedisce al telaio di “infossarsi” e di dissipare troppa energia. Allo stesso tempo però questo tiro catena da solo non è in grado di impedire quei piccoli saltellamenti verticali che causano l’effetto bobbing. Ecco svelato l’arcano.
Passo lungo, posizione di guida distesa: la Meta sembra una bici proprio perfetta per le gare enduro. Per questo motivo abbiamo voluto metterla alla prova anche sui campi gara, facendola correre ad alcuni appuntamenti importanti tra cui la Coppa Italia a Pezzeda e la famosissima Megavalanche dell’Alpe d’Huez.
Dobbiamo dire che in ottica gara la Meta AM V4 ci ha piacevolmente sorpresi: la geometria così lunga è perfetta per le gare, dove capita spesso di scendere a manetta pur non avendo l’adeguata lucidità. Buttandoci a tutta sul ripido ghiacciaio del Pic Blanche, affrontando i veloci e viscidi single track di Pezzeda, ci siamo resi conto che una bici come la Meta, stabile sul veloce e sicura sul ripido, è perfetta per queste situazioni. In gara una bici stabile sul veloce, anche se meno maneggevole, è una scelta sicuramente vincente. In curva, conoscendo il tracciato, riesci ad arrotondare bene le linee ed a compensare alla minor maneggevolezza del mezzo mentre sul dritto hai solo da lasciarla correre.
Tutto l’allestimento in gara si rivela piuttosto azzeccato, sopratuttto per quanto riguarda gruppo, forcella ed ammortizzatore, certo che un gruppo e qualche componente più leggero (manubrio in carbonio, ad esempio) non sarebbe guastato. Per evitare ogni possibile rischio di caduta della catena, abbiamo aggiunto un guidacatena E*13 XCX con attacco ISCG 05, una precauzione più che altro visto che la catena non era quasi mai caduta nei giri tradizionali. Le ruote invece sul campo gara hanno dimostrato tutti i loro limiti.
A parte i problemi con le ruote, che consigliamo di cambiare come primo upgrade, la Commencal Meta AM V4 non può che essere promossa a pieni voti. La pedalabilità è nel complesso moto buona, la prestazione in discesa pure. E’ una bici tutto tondo che può essere usata in molteplici contesti, dal giro epico alpino alla gara di enduro o alla Megavalanche. Le particolari geometrie del telaio, con un passo ed un carro lunghi ed una posizione in sella bella distesa rendono la bici estremamente stabile sul ripido e sullo sconnesso, ma non eccessivamente agile nel guidato.
A chi la consigliamo? Se sicuramente in ottica race si riesce meglio a sfruttare l’impostazione della bici, basta sostituire la corona da 34T con una più piccola e la Meta diventa una fedele compagna per ogni tipo di giro in montagna, adatta al rider che vuole guadagnarsi la vetta con le proprie gambe e scendere a tutta velocità sui sentieri naturali. In bike park è divertente e per un uso occasionale è perfetta, ma ci sono mezzi più specifici per questo utilizzo.
Da considerare come primo upgrade le ruote, il resto della componentistica è invece promosso a pieni voti.
Modello testato: Commençal Meta AM V4 Race Plus Rock Shox Yellow
Prezzo di listino: 3999€ (vendita online sul sito Commençal)
Peso rilevato: 13,5kg senza pedali
Peso ruote in assetto di marcia: 2450g e 1965g (ruote, gomme, dischi e pacco pignoni inclusi)
Maggiori informazioni sullo Store Commençal
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