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Se si eccettua la Dorado da DH, non si può dire che negli ultimi anni le sospensioni Manitou abbiano goduto di grande popolarità. Ultimamente sembra però che le cose si stiano raddrizzando per lo storico brand americano, ed una delle protagoniste del nuovo corso è proprio la Mattoc, forcella da enduro/all mountain di cui vi parleremo in questo test.
Frutto di tre anni di affinamenti e disponibile anche in due versioni di fascia più bassa denominate Expert e Comp, la versione Pro 2 in test eredita parecchie tecnologie proprio dalla Dorado da DH, proponendosi sulla carta come un modello estremamente interessante per l’elevato grado di tuning possibile, sia dal lato risposta elastica che idraulica. Quattro le colorazioni diponibili: rosso opaco, nero opaco, nero lucido (solamente versione OEM) e bianco lucido.
Diamo ora un’occhiata alle caratteristiche più interessanti della Mattoc.
L’archetto posizionato posteriormente agli steli – un marchio di fabbrica Manitou – protegge maggiormente gli steli stessi da fango, sassi e sporcizia sollevati dalla ruota. Il classico parafanghino in plastica non è però applicabile, e la piovosità degli ultimi mesi ce l’ha fatto rimpiangere. Non sarebbe male se Manitou ne prevedesse uno specifico con attacchi dedicati. Bella e ricercata la lavorazione.
La luce per il passaggio ruota è abbondante e da specifiche si possono montare coperture fino a 68 mm di ingombro massimo. La Magic Mary 2.35” montata su cerchio da 29 mm di canale interno ha un ingombro max di 61 mm, e come si può vedere resta luce più che sufficiente sia superiormente che di lato.
L’attacco per la pinza freno è di tipo postmount per dischi da 180 mm, anziché 160 mm come la maggior parte delle altre forcelle di questa categoria. Vista la potenza frenante dei Formula T1 e la modulabilità non eccelsa, è stata una buona occasione per togliere di mezzo l’adattatore e sostituire il disco da 203 mm montato in precedenza con uno da 180 mm.
Qualche critica per quanto riguarda i punti di fissaggio del cavo del freno, visto che per evitare che al comprimersi della forcella sballonzoli più del dovuto ci siamo dovuti arrangiare creando un occhiello con una fascetta sulla testa della forcella. Sconsigliato farlo passare fra archetto e corona superiore come si vede su certe forcelle Manitou, perchè in questo caso si schiaccerebbe pericolosamente quando si va a finecorsa (abbiamo verificato). Il sistema da noi adottato funziona comunque molto bene, ed al comprimersi della forcella il cavo scorre liberamente nell’occhiello. Unico inconveniente, nel punto di contatto alla lunga la vernice viene via. E’ quindi consigliabile applicare un pezzetto di nastro protettivo.
Il nuovo perno passante HexLock SL da 15mm di diametro non è dotato di quick release e per il montaggio/smontaggio è richiesta una chiave esagonale da 6 mm.
Il perno è cavo sul lato opposto rispetto a quello di inserimento, e la cavità è filettata. Nel piedino della forcella troviamo un secondo perno, a sua volta filettato, molto più corto e non rimovibile, che tramite la chiave esagonale si avvita all’interno di quello principale. Le sezioni esagonali del perno passante, presenti su entrambi i lati, trovano alloggiamento in apposite sagomature offrendo un fissaggio bello solido che non soffre di giochi o allentamenti accidentali. La comodità non è quella di un QR, ma non è neppure molto più scomodo. Viste le generose dimensioni della filettatura, è inoltre ben difficile fare danni eccedendo con la forza di serraggio. Rispetto al vecchio sistema dotato di QR – a detta di chi l’ha provato piuttosto macchinoso – viene dichiarato un risparmio di peso di 32 grammi.
La valvola della camera principale si trova alla base del fodero sinistro, protetta da un cappuccio metallico che si avvita sulla valvola stessa . Quando si collega la pompa, camera positiva e negativa vengono caricate simultaneamente. Per evitare fuoriuscite di olio è consigliabile compiere l’operazione a bici capovolta. Alla base del fodero destro c’è invece il registro color blu per la regolazione del ritorno.
La cartuccia IRT (più avanti spiegheremo di cosa si tratta) ci è stata fornita priva di tappo. Presumiamo una dimenticanza, alla quale abbiamo messo una pezza riciclando il tappo della Pike di cui la Mattoc ha preso il posto.
Chiudiamo l’analisi statica con una nota sulla quota di axle to crown (l’altezza della forcella, in parole povere) che con 555 mm risulta essere un filo più alta rispetto alla norma (per rendere l’idea Fox dichiara 549 mm per la 36 e Rockshox 552 mm per la Pike). Su telai nativi per forcelle da 160 mm la variazione delle geometrie è sostanzialmente trascurabile, mentre vale la pena tenerne conto se montata come upgrade su telai all mountain nativi per forcelle dalla minore escursione.
Quando una forcella permette il controllo separato delle alte e basse velocità di compressione, nonché la possibilità di regolare la progressività mediante token o principi equivalenti, significa che ci si trova di fronte ad un modello molto evoluto e ben difficilmente verrebbe da chiedere di più. La Mattoc Pro 2 riesce però a spingersi oltre, spostando ad uno step superiore la possibilità di personalizzazione sia della risposta elastica che idraulica. Questo avviene grazie alla cartuccia IRT, “ereditata” dal modello Dorado da DH, ed al registro HBO. Ma andiamo con ordine, analizzando uno per uno i registri disponibili e la loro funzione.
E’ il registro del ritorno, che come abbiamo già visto è posizionato alla base del fodero destro. Ergonomicamente ben fatto, fluido nel funzionamento ed agevolmente azionabile con i guanti, dispone di 10 posizioni per un range di regolazione che permette di trovare in ogni situazione la velocità desiderata.
Sulla testa della forcella lato destro troviamo gli altri registri idraulici:
E’ il registro più esterno di colore rosso, controlla le low speed e può essere usato “on the fly” come fosse il registro della Pike RC3. L’attivazione è molto comoda e le posizioni disponibili sono 4. Come spiegheremo al capitolo successivo, è influenzato dal registro HS. L’utilizzo è quello classico dei registri low speed, quindi utile in salita per contenere le oscillazioni della forcella, ma anche in discesa quando si desidera maggior sostegno (ripido, lento tecnico, percorsi flow con compressioni etc.). Montando il kit IRT, la cui funzionalità vedremo in seguito, la necessità di ricorrere al registro LS in discesa si riduce di molto.
E’ il registro intermedio nero con forma a croce e dispone di 5 posizioni. Oltre alla classica funzione di controllo delle alte velocità di compressione (braking bumps, radici, sconnesso veloce…), viene usato per regolare la piattaforma in salita. Chiudendolo si aumenta infatti l’effetto del registro LS (un po’ come sulle Fox con idraulica RC2). Secondo Manitou si tratta di una regolazione “set and forget”, da farsi quindi all’inizio e poi non toccare più. Così facendo ci si deve però adattare ad un settaggio di compromesso che in molte situazioni potrebbe non essere ottimale, sia in salita che in discesa. Per uso enduro è infatti consigliato di lasciarlo più aperto (maggiore sensibilità in discesa e minor frenatura in salita), mentre per uso AM viene suggerito di chiuderlo maggiormente (più frenata in salita ma meno sensibile in discesa). Personalmente ho trovato molto più sensato agire sul registro in base alle situazioni, chiudendo opportunamente in salita e lasciando l’idraulica più libera in discesa, visto anche l’accesso sufficientemente comodo.
Si tratta del piccolo registro color argento posizionato all’interno del registro HS. Controlla idraulicamente la resistenza al bottomout frenando la comressione negli ultimi 30 mm di escursione. Andrebbe regolato partendo dal tutto aperto, e nel caso si riscontrino frequenti finecorsa chiuderlo opportunamente. Serve ad aumentare la resistenza al finecorsa senza alzare tutta la curva di compressione come avverrebbe agendo sull’IVA (air spacers), o ancor di più sull’IRT. Le posizioni disponibili sono 5 e la regolazione a guanti indossati un po’ scomoda, sia a causa delle piccole dimensioni che della posizione.
Nell’incavo in cui è alloggiato tende inoltre a depositarsi sporcizia non facile da rimuovere, cosa che alla lunga ha fatto perdere fluidità di funzionamento ed il nottolino tendeva a gripparsi. Rimuovendolo, pulendo la sede e dando una lubrificata tutto è tornato come nuovo, ma una soluzione più adatta agli strapazzi della mountain bike sarebbe benvenuta.
Veniamo ora alle cartucce IVA ed IRT, grazie alle quali è possibile il controllo della risposta elastica:
Consente il controllo della progressività mediante la regolazione del volume della camera dell’aria. Il principio è quindi identico a quello dei token di RS, anche se la realizzazione pratica leggermente diversa.
In questo caso non si tratta infatti di aggiungere o togliere gli spacer, ma di spostarli al di sopra o al di sotto di un disco la cui posizione determina le dimensioni della camera. Gli spacer sono cavi, per cui la camera sarà tanto più grande quanti più spacer saranno posizionati al di sotto del disco.
E’ un kit alternativo all’IVA, viene fornito come upgrade e consente una gestione più raffinata della risposta elastica. Rispetto all’IVA permette di alzare maggiormente la curva di compressione nella parte intermedia di travel. Funziona tramite un disco flottante il quale crea una seconda camera che lavora “in serie” a quella principale. Questa seconda camera andrà caricata con una pressione di almeno 10 psi superiore rispetto a quella principale. In condizioni di riposo assumerà quindi il suo volume massimo, mentre al comprimersi della forcella, quindi all’aumentare della pressione della camera principale, andrà man mano riducendosi. In questo modo opporrà però una resistenza sempre maggiore, visto che la pressione dell’aria in essa contenuta andrà a sua volta aumentando. In sostanza è come avere un air spacer (token) il cui volume cambia al variare del travel usato: molto voluminoso inizialmente (e quindi agisce prima rispetto ad un token classico), ma che al comprimersi della forcella si riduce di dimensione evitando così un drastico incremento della progressività. Se la spiegazione non è stata chiara date un’occhiata al grafico sotto riportato, nel quale si può vedere l’effetto dell’IRT comparato a quello dell’IVA.
La cosa più interessante è come, a pari pressione dell’aria e quindi sensibilità iniziale, la curva ottenibile con l’IRT sia più “alta” di quella IVA nella parte intermedia di travel senza determinare una progressività finale esagerata (cosa che invece avverrebbe se si tentasse di alzare la curva nella parte intermedia mediante l’aggiunta di air spacer).
Considerando che solitamente si regola la “durezza” della forcella in funzione della corsa utilizzata, è interessante esaminare anche il grafico che trovate più sotto. A pari resistenza al finecorsa, è qui mostrato il diverso comportameno nelle tre condizioni di camera “normale”, cartuccia IVA e cartuccia IRT.
Due sono le cose interessanti da notare. La prima che sia l’IVA che l’IRT permettono una pressione di esercizio minore e quindi maggiore sensibilità iniziale. La seconda e più interessante, che anche in questo caso la cartuccia IRT offre maggiore sostegno già a partire dalla parte centrale della corsa.
L’installazione della cartuccia è semplice: si svita la cartuccia IVA ed al suo posto si avvita l’IRT. A quel punto la nostra Mattoc presenterà due valvole dell’aria: una alla base del fodero per la camera principale, una seconda sulla testa per la camera IRT. Come il grafico qua sotto mostra, maggiore è la differenza di pressione fra le due camere e più marcato sarà l’effetto dell’IRT.
Alla fine di tutti questi bei discorsi la domanda sorge spontanea: per quale motivo si dovrebbe preferire la cartuccia IVA all’IRT? Da un punto di vista puramente tecnico in effetti non esiste una ragione. L’IRT va però acquistato come upgrade, e se uno è soddisfatto del comportamento ottenuto con la cartuccia IVA è inutile spendere altri quattrini. L’IVA, per quanto più macchinoso da regolare in quanto va rimosso dalla forcella, una volta settato può essere dimenticato. L’IRT richiede invece un periodico controllo della pressione dell’aria, è soggetto alle forti variazioni di temperatura e dal punto di vista dell’affidabilità è potenzialmente più critico in quanto il disco flottante deve garantire nel tempo la tenuta fra le due camere.
Ben difficilmente una forcella di questo tipo troverà posto sulla bici di un impallinato per la salita, ma ciò non significa che per raggiungere una bella discesa non si debba pedalare, e questo vale anche per l’enduro agonistico. La Mattoc è leggermente più alta rispetto alla norma e non è abbassabile, il che non è il massimo sulle salite lunghe e ripide. In ambito race solitamente non si da molto peso alla cosa, ma per un utilizzo all mountain si tratta di un punto a sfavore rispetto ai modelli a travel variabile. Chiudendo il solo registro della compressione alle basse, il più comodo da azionare, il bobbing viene ridotto solo leggermente. Combinando invece l’azione con quella del registro delle alte la forcella è ben stabile finchè si pedala seduti, mentre in fuorisella le oscillazioni non sono totalmente eliminate. Anche da questo punto di vista molte concorrenti fanno meglio, sia per immediatezza di attivazione/disattivazione della piattaforma che per efficacia.
Passando alla discesa, cominciamo col dire che quasi subito abbiamo tolto la cartuccia IVA per montare l’IRT, vero punto di forza della Mattoc. L’IVA fa comunque il suo lavoro, anche se è stato necessario utilizzare tutti gli spacer per contenere una linearità piuttosto marcata. Se sui terreni poco pendenti o ad andature tranquille questo non è un problema e permette di sfruttare bene la corsa, all’umentare della pendenza e dei ritmi si sente invece la necessità di maggiore sostegno nella parte centrale. Grazie all’IRT la cosa è ottenibile lavorando sulla risposta elastica, ed una volta trovata la giusta pressione ci siamo praticamente dimenticati dei registri idraulici della compressione lasciando la forcella libera di lavorare al meglio. Partiti piuttosto cauti con la quantità d’aria nella camera dell’IRT, sono bastate un paio di discese per capire che non bisogna lesinare sulla pressione, ottenendo la risposta desiderata con un’ottantina di psi in più rispetto alla camera principale.
La Mattoc è stata montata sulla Rose Uncle Jimbo utilizzata per i test sui componenti al posto della Pike RCT3 Dual Position, una forcella stracollaudata sulle cui doti c’è poco da discutere. Passando da una forcella all’altra la bici ha cambiato carattere più del previsto: più agile e giocosa con la Pike, più “cattiva” ed a suo agio sui grossi impatti e sul ripido con la Mattoc.
Ma andiamo con ordine, cominciando da quello che è forse l’unico punto debole della Mattoc, vale a dire la sensibilità sui piccoli urti. Sui tracciati poco pendenti e moderatamente smossi- immaginate la classica pietraia da passare di slancio – l’avantreno è infatti piuttosto nervoso e l’impegno a livello di braccia è maggiore rispetto a quello richiesto da forcelle con i primi mm di travel più “vuoti”. Non si tratta infatti di pigrizia dovuta ad attrito di stacco, quanto alla risposta ben sostenuta – per l’appunto anche troppo – sin dai primissimi mm di corsa. Forse una camera negativa un po’ più “invasiva” potrebbe migliorare questo aspetto.
Quando il gioco si fa duro emergono però le doti della Mattoc: il sostegno sul ripido è infatti impeccabile, pur mantenendo la capacità di lavorare su gran parte della corsa quando si tratta di assorbire gli urti più violenti. In altre parole l’IRT permette di calibrare al meglio la curva elastica, personalizzandola in base allo stile di guida ed al terreno e riducendo al minimo l’uso della frenatura della compressione. A questo proposito va detto che l’effetto dei registri LS ed HS è abbastanza blando e, come rilevato anche in salita, solamente utilizzandoli in modo combinato gli effetti sono chiaramente percepibili.
Diverso il discorso per quanto riguarda il registro HBO per il controllo del finecorsa, la cui funzionalità si fa apprezzare sui tracciati più cattivi dove vale la pena chiuderlo per tenersi un po’ di margine da spendere in situazioni di emergenza. Ottimo anche il lavoro dell’idraulica in estensione, con il ritorno che può essere lasciato ben aperto senza che in caso di forti compressioni la forcella si riestenda in modo incontrollato e difficile da gestire. In situazioni critiche come le sequenze di urti ad alta frequenza (esempio tipico sono le braking bumps), ciò significa un avantreno sempre ben incollato al terreno.
Gli steli da 34 mm di diametro, steli che oltretutto fuoriescono maggiormente rispetto alla norma (il finecorsa è a circa 6 mm dal punto di innesto nella testa), non sono sulla carta la scelta migliore sul fronte rigidità. Se da un lato la minore reattività rispetto alla Pike potrebbe essere spiegata in questo modo, dall’altro bisogna dire che non si notano imprecisioni nella tenuta delle traiettorie. Il discorso vale anche nel lento trialistico, ambito dove la Mattoc è particolarmente performante grazie all’ottimo sostegno fornito sul ripido e nel superamento di tratti gradonati.
La curiosità di provare la Mattoc era tanta, e le attese non sono andate tadite. La cartuccia IRT, vero punto di forza, farà la gioia di chi sa cosa chiedere alla propria forcella. Perfetta sia per utilizzo enduro race che all mountain su terreni particolarmente impegnativi, è invece persino eccessiva per utilizzi più tranquilli. Nonostante la sensibilità ai piccoli urti ed il range di lavoro dei registri della compressione siano migliorabili, è davvero difficile trovare una forcella con caratteristiche e prestazioni della Mattoc Pro 2 allo stesso prezzo.
Con la Mattoc Pro 2 sui flowtrails del Carosello 3000 di Livigno, in occasione del 3KUP&DOWN:
Peso con cannotto tagliato a 180 mm e cartuccia IRT: 1895 g
Corsa rilevata: 161 mm
Prezzo: 749 Euro
Prezzo cartuccia IRT: 79,99 Euro
Prezzo cartuccia IVA*: 49,99 Euro
*di serie su Mattoc Pro 2, ma disponibile come upgrade per la Mattoc di precedente generazione.
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