A fine maggio 2017 Ibis ha presentato la nuova Mojo HD4, bici con ruote da 27.5 pensata per l’enduro. Rispetto al modello precedente, la casa californiana ha deciso di seguire il trend delle endurone più lunghe e più aperte. Non per niente l’angolo sterzo misura 64.9°, mentre il reach è stato allungato su tutte le taglie. Non poteva ovviamente mancare lo standard boost.
Il montaggio che vedete in questa prova è stato fornito dal distributore italiano 4Guimp e rispecchia quello usato dal team CMC Ibis nella stagione 2017 durante le EWS, se si eccettuano le ruote e le gomme. Va anche detto che la squadra ha usato l’HD3.
La bici sarà visibile a FLOW di Finale Ligure a partire da venerdì 29 settembre presso lo stand 4Guimp. Si tratta esattamente di quella usata nel test, mentre per ottobre sono disponibili alla vendita solo 10 esemplari.
Materiale telaio: full carbon
Formato ruote: 27.5”
Schema sospensione: DW Link
Geometrie variabili: no
Corsa ant/post: 160/150 mm
Boost posteriore: sì
Forcella boost: sì
Ammortizzatore metrico: no (200×57 mm)
Ruote e coperture tubeless ready: sì
Trasmissione: 1×11 (32T ant / 9-44 post)
Attacco per deragliatore: no
Attacco ISCG 05: sì
Attacco portaborraccia: sì
Garanzia telaio a vita: no, per 7 anni
Peso rilevato tg. M: 13.830 kg
Prezzo: 7.790 Euro
La bici in prova è una M, il rider è alto 179cm. Ibis ha sempre avuto la tendenza a produrre bici con reach corti, dunque la decisione di allungarlo è stata senza dubbio buona, anche se non siamo in presenza di una misura elevata considerata la taglia. Lo stem da 40mm e il manubrio da 790mm danno una posizione centrale sulla bici, aiutati da un angolo sella di 74° che la rende ben pedalabile in salita senza fastidiose perdite di aderenza dell’anteriore, pur avendo lasciato diversi spacer sotto lo stem.
Il telaio full carbon, in piena tradizione Ibis, mantiene le forme sinuose caratteristiche della Mojo. In particolare il triangolo anteriore, con i suoi tubi rotondeggianti e una colorazione originale ma non appariscente, è inconfondibile. Massicci sono i link che lo collegano al carro, con cuscinetti dalle dimensioni abbondanti che contribuiscono a dare al telaio una rigidità notevole. Lo spazio fra carro e bielle è minimo, ma non si sono create scheggiature della vernice dovute allo sporco alzato dalla ruota posteriore. C’è anche da dire che il test è durato solo due settimane, in condizioni prevalentemente di asciutto, quindi su questo tema non riesco ad approfondire più di tanto.
Il passaggio dei cavi è interno, tranne per quello del tubo del freno posteriore. Scelta azzeccata per evitare di doverlo spurgare ogni volta che lo si deve togliere per riparazioni o sostituzioni.
Il reparto sospensioni è affidato in toto a DVO, con una forcella Diamond ad aria (qui il nostro test dedicato) da 160mm, dotata di regolazione esterna del ritorno e della compressione alle alte e alle basse velocità, ed un ammortizzatore Topaz T3 Air (qui il nostro test) al posteriore. Riguardo a quest’ultimo, il suo ingombro non permette di usare una borraccia anche se il telaio è predisposto, perché il piggy back arriva troppo in basso. Sul sito Ibis si nota come la borraccia trovi spazio in combinazione con un Fox X2, il cui piggy back disassato può essere montato verso l’alto.
Le regolazioni esterne del Topaz sono quelle del ritorno e della compressione grazie ad una leva posizionabile in tre posizioni, da tutto aperto a tutto chiuso. Quest’ultima offre una buona piattaforma per pedalare in salita, anche se il DW Link non è certo lo schema di sospensione più incline al bobbing, anzi.
La trasmissione è una SRAM XX1 ad 11 velocità, con guarnitura e*13 TRS e corona da 32 denti, e pacco pignoni sempre e*13 con rapportatura 9-44. Per un test dettagliato di quest’ultimo vi rimando qui. Segnalo il movimento centrale filettato, i meccanici ringraziano. Sempre di casa SRAM sono i freni Guide RS con dischi da 180/160mm. Avete letto bene, 160mm è il diametro al posteriore, ma su questo tornerò durante la prova sul campo. Il reggisella è un KS Lev da 150mm, mentre il cockpit e la sella sono affidati a Chromag con un manubrio in alluminio largo 790mm.
Le ruote sono in carbonio, delle e*13 TRS Race Carbon con canale interno da 27mm, accoppiate ai relativi pneumatici latticizzati TRS1 rinforzati da 2.35+. Anche quelle sono state testate da noi separatamente. Interessante il mozzo, con 60 punti di ingaggio pari ad un angolo di 6+. Inconfondibile il loro look oversize. Un dettaglio pratico è il tappino della valvola posteriore, dotato di una protuberanza che serve ad aprire o chiudere la valvola Presta quando si mette il lattice, o nel malaugurato caso che si sviti quando si immette aria con una pompa la cui testa deve essere avvitata alla valvola stessa.
La tassellatura delle gomme è identica all’anteriore e al posteriore, molto aggressiva e con una doppia mescola, non la più morbida nella gamma e*13.
Il peso della bici senza pedali, rilevato sulla nostra bilancia, è di 13.830 kg. Non certo una piuma, ma nella media delle bici da enduro moderne.
Le mie aspettative in salita, per quanto riguarda le nuove “endurone” (nessuna esclusa), non sono molto alte, perché queste bici sono chiaramente state costruite per andare forte in discesa, e guadagnarsi la vetta in qualche modo, prevalentemente meccanizzato. La Mojo HD4, se non altro, ha dalla sua un’escursione posteriore di soli 150mm ed un sistema ammortizzante, il DW Link, molto neutrale in salita, anche ad ammo aperto. Questo significa che l’energia non viene dispersa dalla cinematica, ma piuttosto dalle gomme poco scorrevoli. Al posteriore il profilo della e*13 TRS+ non aiuta in questo senso, ma d’altro canto permette di arrampicarsi sullo sconnesso e sul bagnato molto bene, coadiuvato anche da una pressione relativamente bassa, grazie ai cerchi larghi.
Il blocco dell’ammortizzatore si sente, così come si sente un “Tlak!” metallico ogni volta che lo si riapre. La forcella non ha un vero e proprio blocco, però si può indurire chiudendo la compressione alle basse con l’apposita levetta, con un movimento veloce e facile da attuare anche quando si pedala. La rapportatura della trasmissione, con un 32×44 come rapporto più agile, richiede una discreta gamba, ma neanche troppa considerando che si è in sella ad una 27.5 e non ad una 29.
Sulle salite scorrevoli la Mojo HD4 si pedala bene, sul tecnico e sullo sconnesso ripido si sente l’anteriore aperto, cosa che richiede di spostare il peso del corpo molto in avanti per riuscire a tenere la traettoria. Il DW Link, in questi frangenti, si lascia apprezzare alla grande perché non tende ad insaccarsi, mantenendo così una posizione di pedalata centrale e soprattutto evitando che l’anteriore si alzi troppo facilmente.
Resta il fatto che non si faranno temponi in salita con questa bici, ma con la dovuta calma si arriva in cima dappertutto. Mi è anche piaciuta la sella, comoda ma al tempo stessa con una forma sportiva.
A livello geometrico Ibis ha fatto centro, grazie ad un angolo sterzo aperto che infonde sicurezza nel veloce scassato, e ad un carro corto che imprime la dovuta agilità. A ciò si aggiunge una rigidità complessiva notevole, data anche dai cerchi in carbonio, che però non sfocia nello scomodo. In particolare la combinazione ruote + gomme e*13 si è rivelata azzeccata, visto che la forma dei pneumatici è quella giusta per non essere troppo squadrata e, in caso di “pizzicatura”, il cerchio non va a picchiare sulla zona priva di tasselli tagliando la gomma, come accade spesso con i cerchi larghi. L’unica foratura che ho avuto è stata causata da una roccia tagliente, riparata comunque con un vermicello.
Era la prima volta che provavo delle sospensioni DVO, e ne sono rimasto positivamente impressionato. Devo anche dire che erano state controllate e settate da Accumotor di Lecco, centro specializzato in tuning e manutenzione per diversi marchi, quindi non mi ha stupito molto la fluidità iniziale sia della forcella che dell’ammortizzatore, senza doverci fare neanche un po’ di rodaggio.
Ho trovato il setup molto facile: una volta azzeccato il sag (attorno al 30%), sulla forcella ho sperimentato un po’ con le compressioni, in particolare quella alle basse perché mi dava più sostegno sul ripido. In ogni caso, mi è piaciuta per come lavora sensibile e sostenuta su tutto il suo travel, con una curva di progressione che si impenna a fine corsa. A proposito di corsa, sono riuscito ad usare quasi tutta quella dell’ammortizzatore senza però fare dei finecorsa indesiderati. Il carro con il Topaz non è quello più “plush” da me provato, ma dà un che di sportivo che ben si abbina alla tipologia di bici. Per esempio, pomparla sugli ostacoli è veramente facile, così da poter tenere la velocità anche su sentieri con tante radici o sassi fissi. La sospensione posteriore è piuttosto lineare, e diventa progressiva alla fine della corsa.
Sulla definizione di bici “sportiva” vorrei spendere qualche riga in più. Al momento ci sono delle enduro che sono delle schiacciasassi, ed il cui feeling è più quello di una DH che di una All Mountain maggiorata. Il lato positivo è che si mangiano via tutto senza battere ciglio, quello negativo sta nel loro comportamento nello stretto e nella giocosità limitata. La Mojo HD4 non è un panzer, ma richiede una guida attiva che trova il suo forte su quei sentieri guidati dove ogni tanto c’è anche da dare qualche colpo di pedale. In pratica, stiamo parlando dei sentieri alpini dove gli ostacoli sono onnipresenti in forma di rocce, curve strette, rampe e radici. Su questo tipo di terreno si apprezza al meglio il DW Link ed il reach non estremo, oltre al travel posteriore di 150mm, a parere di chi scrive un’ottima scelta per mantenere la bici il più vivace possibile, in combinazione con una cinematica che va bene non solo in discesa.
I freni non sono all’altezza del resto: i Guide RS non si possono annoverare fra quelli più potenti, meno che mai se al posteriore si trova un disco da 160mm. Sulle lunghe discese patiscono il surriscaldamento, e bisogna imprimere molta forza alle leve per ottenere una frenata soddisfacente. A ciò si aggiunge la mancanza della rotellina di regolazione della distanza delle pastiglie, così che dopo qualche uscita le leve, da tirate, già arrivavano vicino alle manopole. Se proprio si vuole rimanere sugli RS (anche se su una bici di questo calibro ci vedrei meglio gli RSC o gli Ultimate, in casa Sram), bisognerebbe almeno montare un disco da 200mm all’anteriore e 180mm al posteriore.
Il travel posteriore di 150mm e una cinematica che brilla anche sul pedalato rendono la Ibis Mojo HD4 molto agile e reattiva, adatta quindi a percorsi alpini e non solo a discese a tutta in ambito delle gare enduro. Sul veloce l’angolo sterzo aperto e la combinazione ruote + gomme e*13 infondono sicurezza, mentre i freni sono sottodotati per l’ambito d’uso. Il reparto sospensioni di DVO è stato una piacevole sorpresa.
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