[Test] Io e la Cube Elite C68 SL29 contro la Ronda Extrema

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Testare le bici non è sempre cosa semplice, soprattutto se si esce dall’ambito di utilizzo in cui uno è solito muoversi. È il mio caso per la Cube Elite C68 SL29, che vi avevo presentato al momento del suo arrivo. Una bici da XC puro, front suspended, ma con un paio di dettagli che mi hanno convinto a sceglierla per questo test, in primis il reggisella telescopico KS da 100mm di escursione e 27.2mm di diametro. E anche perché covavo l’idea di partecipare al campionato del mondo marathon, che si terrà a fine giugno sul percorso della Sella Ronda Hero.

Ebbene si, ho trascorso diverse giornate in sella a questo razzo durante gli ultimi mesi, e mi ero già fatto un’idea ben precisa sul suo comportamento. Mancava però quel pizzico di sale che mi portasse al nirvana della conoscenza di questo mezzo, così ho deciso di portare al limite materiale e biker per essere sicuro di scrivervi tutto, ma proprio tutto, quello che ne avrei spremuto fuori. Mi sono iscritto alla Bike Marathon di Riva del Garda, percorso Ronda Extrema. 90 km per 3800 metri di dislivello. Quella che potrebbe sembrare una “normale” granfondo si è invece trasformata in un’esperienza piuttosto unica perché, al contrario anche della stessa Sella Ronda Hero, le discese erano in gran parte su sentieri (gardesani) bagnati. Difficili e insidiosi. Una vera gara di mountain bike, insomma.

Quindi l’idea di questo test è andare ad esaminare ogni singolo componente della bici e notarne i punti forti o deboli.

Innanzitutto qualche dettaglio è stato cambiato, a cominciare dalle gomme. Quelle montate di serie erano sì leggere, ma troppo poco profilate e soprattutto troppo delicate: era molto facile bucare, cosa successa durante la prima uscita. Ho optato allora per una Schwalbe Racing Ralph da 2.25″ con Snakeskin al posteriore, e una Onza Lynx da 2.25″ all’anteriore. Quest’ultima non ha una spalla rinforzata.

Anche i cerchi sono stati cambiati: memore della grande prestazione delle “vecchie” SRAM Rise 60 carbon durante la Swiss Epic, ho montato le nuove Rise 60, sempre carbon, di cui potrete leggere un test a parte. I cerchi sono leggermente più larghi e più leggeri, e le gomme tubeless si fanno montare molto più facilmente. Niente contro gli originali DT Swiss ma, avendo a disposizione delle ruote in carbonio, la scelta è stata ovvia per la loro maggior resistenza e rigidità a parità di peso.

Ho cambiato anche l’attacco manubrio, un Thomson da 40mm al posto del lunghissimo attacco Syntace che c’era di serie, per avere una guida più diretta. Non sarà ultraleggero, ma i pochi grammi in più non mi infastidiscono.

Infine ho voluto provare la nuova sella Fizik Gobi M1, con carrello in carbonio e da 155 grammi di peso. Qui non c’era una vera e propria esigenza da parte mia, ma era un componente che mi avevano dato da testare e ho colto l’occasione per montarlo sulla Cube. Non si è rivelata essere la più comoda per il mio fisico.

La bici così montata, con i pedali Crank Brothers Eggbeater 3, pesa 9.9 kg esatti. I puristi del peso storceranno il naso ma una XC settata in questo modo resiste ad ogni cosa, o quasi.

Se questo è il materiale, quello che conta ancora di più sono le gambe e la testa del biker. Visto che il mio obiettivo, quest’anno, è di partecipare alla Sella Ronda Hero, mi sono fatto fare un piano di allenamento da Roberto Massa, che molti di voi conosceranno dal sito BDC. Ho iniziato a seguirlo da novembre, ed ho usato un powermeter per gli allenamenti, strumento che ormai ritengo indispensabile a questo scopo. Si tratta del nuovo Quark XX1. Anche di questo componente leggerete un test apposito. L’ho usato anche in gara, per non andare troppo spesso fuori soglia. Non solo, i dati sulla potenza media erogata mi dicevano se stavo sforando in vista della lunghezza della gara. Dalla foto potete notare la catena X1, che ha il grande vantaggio, rispetto all’originale XX1, di consumarsi prima lei delle corone/pignoni, perché non ha subìto lo stesso processo di indurimento.

Quest’anno purtroppo il meteo prima e dopo la gara non è stato dei migliori: il venerdì 1° maggio ha piovuto, durante il pomeriggio, proprio mentre ero in giro con SRAM per provare la nuova trasmissione GX. Ho quindi preso abbastanza freddo, e la cosa si è replicata alla sera a cena, in una terrazza all’aperto. La partenza alle 7:30 di mattina in braghe corte non ha aiutato, ed ecco che verso la fine della prima salita, circa 800 metri di dislivello in parte ripidi, sentivo già il polpaccio sinistro indurirsi in modo preoccupante.

La prima discesa è un preludio di quello che saranno tutte le discese della gara: singletrack bagnato, con le rocce coperte da un leggero strato di fango e diverse radici. Concentrazione massima, mi dico, e mi creo una sana “visuale da tunnel” che vaga dal sentiero alla ruota posteriore di chi mi sta davanti. Più di una volta quella ruota sparisce a lato sentiero, con tanti biker che si cimentano in carpiati di diverso stile e successo. E qui veniamo al primo componente che tutti i non-pro avrebbero dovuto avere. Questo:

10 cm sono sufficienti per togliere la sella di mezzo e potersi muovere liberamente sulla bici. 10 cm che fanno la differenza fra lo spingere la bici/cadere, e superare diversi concorrenti in discesa. Circa 300 grammi in più che fanno guadagnare molti più secondi di quelli che si perdono per 3 etti sotto il sedere.

Incredibile vedere ancora quasi tutti i granfondisti con la sella alta, ed in gran parte in difficoltà alla prima discesa simil-tecnica. Come avrete capito, il KS si merita un bel 10, anche perché ha sempre funzionato alla grande in tutto il periodo del test, incurante del fango o dell’acqua.

Rimanendo in tema fango, durante la gara ho spinto per qualche breve tratto in salita su delle rampe fangose, con la conseguenza che la tacchetta dello sgancio rapido era sepolta sotto lo sporco. Grazie ai pedali Crank Brothers Egg Beater 3 non è mai stato un problema riagganciarsi, perché il fango riesce a cadere velocemente attraverso il pedale.

Ma torniamo alla bici e ad un componente fondamentale, la forcella. La RS-1 da 100mm di escursione e con comando di bloccaggio remoto da manubrio mi ha aiutato tantissimo nei tratti tecnici in discesa, in particolare nell’ultimo, che si può tranquillamente definire un torrente in secca. Botte da orbi, ma la RS-1 è sempre rimasta precisa, grazie alla sua incredibile rigidità “frontale”. Se quella torsionale, come detto nell’apposito test, non è da record, in frenata la RS-1 è praticamente imbattibile, soprattutto se paragonata a forcelle con escursione da XC.

L’angolo di sterzo della Cube Elite C68 è piuttosto chiuso (70.5°), cosa che da un lato rende la bici facile da girare nello stretto, ma non certo un mostro di stabilità sul veloce scassato. Devo però dire che questa caratteristica non mi ha condizionato più di tanto.

In salita il blocco sul manubrio è comodo e veloce, anche se la logica vorrebbe che da premuto la forcella fosse chiusa, e non il contrario.

Proprio durante l’ultima discesa ho avuto dei grandi problemi con i freni Magura MT8. Non a causa della loro potenza, soddisfacente durante tutta la gara, ma perché le leve erano troppo lontane dal manubrio e, con i colpi del sentiero scassato e la stanchezza accumulata dopo 3800 metri di dislivello in salita e discesa, facevo fatica a distendere l’indice di ciascuna mano per raggiungerle, o mi si apriva troppo la mano e rischiavo di perdere il grip sulla manopola.

Una situazione estrema, certo, ma che porta alla luce un problema progettuale: infatti nella foto qui sopra potete vedere la vite esagonale sulla leva in carbonio degli MT8, pensata per avvicinarla o allontanarla dal manubrio. Peccato che la vite arrivi a fine corsa piuttosto in fretta, impedendo di avvicinare la leva per bene. Se durante i giri “normali” la cosa non mi ha dato fastidio più di tanto, durante la Ronda Extrema avrei voluto avere degli altri freni. Magura ha ovviato al problema, e presenterà le nuove leve ad Eurobike 2015.

Un’altra cosa che non mi è piaciuta degli MT8 è  che in staccata l’anteriore tende a “saltellare”: non è una frenata lineare, ma quasi composta da tante “micro” frenate, che in situazioni limite si ripercuotono sulla precisione di guida. Penso che sia dovuta al disco, piuttosto estremo nella sua forma per mantenerlo leggero grazie a tanti buchi.

Veniamo ora al tormentone: la trasmissione Sram XX1 1×11, con corona da 32 davanti e pacco pignoni 10-42 dietro. Se chiedete in giro, la maggior parte dei granfondisti vi dirà che per una gara del genere il monocorona non va bene. E allora ho fatto l’esperimento su di me. Le salite della Ronda Extrema sono brutali, con alcune rampe micidiali su cementato gardesano, praticamente il peggio che vi possiate immaginare in una gara –  e non solo. Liberi di non crederci: non ho spinto un metro. Certo, la gamba fa tanto ma ho visto tanta gente con la doppia che mulinellava a velocità da pedoni, e c’è quindi da chiedersi fino a che punto valga mettere dei rapportini in gara. “Salvare la gamba” potrebbe essere un motivo, ma quanto si vuole salvare in gara, quando si presuppone che uno dia il massimo di se stesso?

La cosa che mi ha fatto più riflettere è stata l’ultima salita. Dopo 3400 metri di dislivello me ne sono trovati davanti altri 400, per fortuna non troppo ripidi. Il sole picchiava giù duro, anche sulle teste degli enduristi, che non so come facessero a pedalare indossando il casco integrale (stavano provando le PS della gara di domenica), e il morale era piuttosto a terra. Il mio come quello degli altri, che sorpassavo con calma uno dopo l’altro. Già, anche mettendo l’ultimo rapporto disponibile (32×42) ero comunque più veloce di quelli con la doppia, che facevano meno fatica ma erano anche più lenti. La mia alternativa sarebbe stata quella di camminare, ma non ero stanco fino a tal punto, anche se i crampi mi erano venuti già all’attacco della prima salita. Li ricacciavo via continuando a pedalare, fin quando le gambe non si fossero riscaldate, con smorfie di dolore varie.

Quello che voglio dire è che il monocorona richiede un po’ di allenamento specifico, per abituarsi a tirare dei rapporti più lunghi, ma che alla fine questo si tramuta in più velocità. Considerate che nella classifica completa della Ronda Extrema sono arrivato 141° su un totale di 362 partenti, dunque non sono questo mostro. Nella mia categoria ho concluso 32° su 122 partecipanti.

Qualche riga merita anche il manubrio Syntace Vector Carbon, in particolar modo per la sua lunghezza di 740mm, piuttosto generosa per una XC. Questa è però una caratteristica che ben si abbina al resto della bici.

Conclusioni

La Cube Elite C68 non è la classica bici da XC con cui esclusivamente fare i temponi in salita e scendere in qualche modo a valle. Grazie al reggisella telescopico, ad un manubrio largo e ad una forcella molto performante permette di guadagnare posizioni anche in discesa, premessa una certa capacità tecnica del biker. Gomme e attacco manubrio sono un po’ fuori luogo nel pacchetto complessivo, mentre le leve dei freni Magura MT8 vanno bene per chi ha le dita lunghe. Prezzo molto competitivo, per essere una bici acquistabile in negozio fisico.

Prezzo: 4.599 Euro

Cube.eu

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