Non si può certo dire che la Pole Machine sia una bici che passa inosservata. La prima volta che la vidi, lo scorso anno al Garda Bike Festival, restai con quell’espressione del tipo, “wow, cos’è quella roba?”
La Machine è un mezzo estremo sotto tutti gli aspetti. Design, geometria e tecnica scelta per la produzione, in ogni di questi settori Pole ha voluto distinguersi con scelte e soluzioni fuori dal coro.
Prima di entrare nel vivo della recensione credo sia necessaria una breve introduzione per comprendere meglio il motivo per il quale Leo Kokkonen, fondatore e progettista del giovane brand finlandese, si sia esposto con un progetto così ardito e radicale.
Nel mondo della MTB sappiamo che ci sono alcuni brand che si spartiscono il grosso del mercato, sono gli stessi che poi ci fanno anche irritare per la frequenza di novità, piu o meno tecnicamente giustificabili, che regolarmente introducono (vedi nuovi standards). Questi colossi sono tuttavia abbastanza prudenti nel proporre prodotti troppo “rivoluzionari” in quanto temono l’insuccesso commerciale nel caso non vengano bene recepiti dal pubblico.
Poi ci sono i piccoli produttori che hanno bisogno di distinguersi e di trovare una propria identità nonché nicchia di mercato. Questi brand possono, anzi devono proporre nuove idee ed essere innovatori. Si sa che un piccolo marchio è molto più snello e reagisce molto più rapidamente rispetto ad una grande industria. È in questa fascia che troviamo Pole, una giovane azienda Finlandese che in pochi anni si è distinta proponendo delle nuove idee.
Inutile dire che a prima vista la Machine appare impressionante. Al di là dell’aspetto estetico, che a qualcuno potrebbe apparire sgraziato, la Pole Machine racchiude diverse peculiarità uniche nel mondo della mtb.
Iniziamo con la piu’ evidente. La tecnica costruttiva. La Machine è fatta di alluminio, e fino qui niente di nuovo, se non che non si tratta dei classici tubi (magari idroformati) saldati, bensì di due semi gusci lavorati dal pieno in CNC e poi incollati e imbullonati.
Questa tecnologia, inedita nel campo del ciclo ma già nota per alti tipi di applicazioni, consente di utilizzare un materiale come la lega 7075 T6 (volgarmente chiamata Ergal), altrimenti impossibile, visto che non si presta alla saldatura. L’alluminio 7075 è quello che ha le migliori caratteristiche meccaniche e di resistenza alla fatica. Non per niente viene utilizzata specialmente in aeronautica. Avete mai visto le ali di un aereo saldate alla carlinga? No, gli aerei usano lastre di alluminio rivettate a centine strutturali.
Dettaglio dell’attacco iscg 05 e della bielletta bassa concentrica al movimento centrale
Leo Kokkonen afferma che la scelta, anche se per certi versi rischiosa, gli permette di essere autonomo e di produrre tutto in Finlandia. Certo che per un piccolo marchio è un bel vantaggio evitare il costo degli stampi per una eventuale produzione in carbonio, senza parlare delle attese e delle difficoltà di avere a che fare con i produttori in Asia.
Altra particolarità che salta all’occhio è la scelta delle geometrie. Sempre il progettista/titolare afferma che da ex rider DH, una volta passato alle trail bike non si sentiva sicuro e stabile a sufficienza, quindi già con la Evolink ( modello precedente costruita in tubi di alluminio) ha puntato su geometrie che andavano ben al di là dei numeri normalmente utilizzati dalla concorrenza.
Sulla Machine troviamo un angolo sterzo da 63.9°, un reach di 480mm, almeno 20 mm più lungo rispetto ad altre bici di pari taglia che usano un concetto di “forward geometry” tanto in voga ultimamente. Un carro super lungo da 455mm, un angolo tubo sella (effettivo) di ben 79°, il tutto per un passo da 1305mm ( misure relative a taglia Media ). Quote rilevate con forcella da 51mm di offset.
Il sistema sospensivo denominato Evolink è di tipo virtual pivot con biellette che ruotano dalla stessa direzione e con quella bassa infulcrata attorno al movimento centrale. Tutti gli elementi che la compongono sono in ergal ed il carro posteriore è fresato dal pieno con gusci incollati. I fulcri ruotano su cuscinetti a sfera su perni in titanio.
Vista dal lato non drive, si notano le due biellette co-rotanti, con la bassa infulcrata attorno al movimento centrale.
Ammortizzatore off set dalla parte non drive. Soluzione simile a Specialized e Orbea, permette di avere un tubo sella più lungo e rettilineo, capace di contenere reggi sella telescopici con corsa maggiore e di ottenere una quota di standover record.
Lo stelo è tuttavia poco protetto dagli elementi.
Spazio per la gomma. Il carro è sufficientemente largo da permettere l’utilizzo di gomme fino a 2.8″ (anche grazie alla lunghezza fuori dalla norma), ottimo in caso di fango avere spazio per evitare accumuli.
Passaggio cavi esterno, per migliore praticità. Le guaine sono trattenute dalle classiche fascette da elettricista ma con una soluzione passante inedita (almeno per il triangolo principale)
Tre attacchi borraccia. Quasi esagerato, ma si possono usare anche per trasportare una pompa o altri accessori. Due attacchi sono all’interno del triangolo ed uno sotto.
Ho testato la Machine in diverse uscite per lo più su sentieri alpini rocciosi e single tracks nei boschi. Nei miei giri non ho mai usato risalite meccanizzate e ho fatto anche giri di più di 50km con dislivelli attorno ai 2000m. Sufficiente per avere una buona conoscenza del mezzo e farmi un’idea sui pro e contro.
Con un reach extralungo verrebbe automatico pensare di trovarsi un po’ allungati in sella. Niente affatto, l’attacco manubrio corto (45mm) ma soprattutto l’angolo sella effettivo da 79°compensano la differenza rispetto bici più convenzionali. La misura tra punta della sella e manubrio risulta essere di cm 50, in linea quindi con ad esempio la Canyon Strive che Marco sta testando.
L’effetto collaterale di questa soluzione è che ci si ritrova a pedalare “sopra” il movimento centrale. Questa sensazione all’inizio la si percepisce molto, ma devo ammettere che dopo qualche uscita, e qualche piccolo aggiustamento della sella, mi sono abituato e non mi ha dato particolari problemi .
Non ci si può certo aspettare di battere i KOM con 15+kg di bici, ma considerando che non si può bloccare l’idraulica delle sospensioni, la Pole sale bene sulle salite scorrevoli, a patto che non si pretenda di scattare in fuorisella.
Sulle salite tecniche sono rimasto veramente colpito dall’efficienza della Machine. Qui la posizione di pedalata non convenzionale rivela tutto il suo perché. Quando le pendenze crescono il peso del rider graverà più sulla parte anteriore della bici, se poi lo abbiniamo al fatto di avere un carro mediamente più lungo di circa 20mm va da sé che la ruota anteriore rimarrà ben piantata a terra e ci troveremo a trasferire potenza ai pedali in maniera estremamente naturale ed efficace.
Sono riuscito a superare ostacoli ostici meglio che con altre bici molto più leggere. La sospensione Evolink è uno spettacolo di stabilità, non affonda eccessivamente e oscilla poco. L’efficienza di questo sistema non è dovuto esclusivamente al concetto di anti squat come utilizzato da altri virtual pivot. L’anti squat o anti affondamento è una soluzione che si adotta nel disegno della cinematica della sospensione per limitare il fenomeno di eccessiva compressione della sospensione in salita ed in accelerazione. Il principio dell’AS è quello di sfruttare la forza di pedalata per estendere la sospensione, quindi controbilanciare l’affondamento. Questo sistema (afferma Leo di Pole) utilizzando valori superiori al 100% genera una certa perdita di efficienza di pedalata visto che parte dei watt verranno spesi appunto per estendere la sospensione. Inoltre un eccessivo AS genera fenomeni di pedal kick back avvertibili in salita urtando ostacoli.
Leo Kokkonen afferma che per la sospensione Evo link ha affrontato il tema con una sua interpretazione, utilizzando valori bassi di antisquat e lasciando il controllo della compressione maggiormente al tuning dell’ammortizzatore. Mi sono veramente trovato bene con la sospensione, sia in salita che i discesa e a parte in salite su asfalto non ho mai ritenuto necessario intervenire sulla levetta dell’ammortizzatore
In generale, comunque, ho avuto l’ennesima conferma che si fa meno fatica a pedalare una bici con una sospensione efficiente piuttosto che una che pesa un kg in meno.
Tutti i numeri indicavano una propensione alla velocità in discesa, ed in effetti non sono rimasto deluso dalle prestazioni in questo settore. La forcella da 180mm e le ruote da 29″ ti autorizzano a prendere la via più diretta senza bisogno di dribblare gli ostacoli. Conoscevo già la Rovk Shox Lyrik e ho solo avuto conferma sulle sue qualità di assorbimento di grandi urti mantenendo sensibilità alle piccole asperità. Al posteriore troviamo una sospensione che è molto sensibile, assorbe bene mantenendo trazione anche in frenata. Anche in presenza di urti improvvisi ha reagito sempre bene senza mai cercare di disarcionarmi, situazione provata con altri sistemi virtual pivot. Da notare che né forcella né ammortizzatore erano dotati di tokens.
Ho regolato il sag su 30% al posteriore e poco meno all’anteriore. In nessun caso sono arrivato a fine corsa ma devo dire che non ho mai girato in bike park , solo trail “naturali”. Le ruote Mavic Deemax Elite hanno retto bene, a parte un paio di raggi un po’ ammaccati dalle sassate. Ho solo dovuto ingrassare la ruota libera una volta in quanto era diventata molto rumorosa. Le gomme Maxxis Minion DHF 2.5 e DHR 2 2.3 al posteriore montate con inserti Huck Norris si sono rivelate all’altezza e a parte una piccola perdita di pressione alla posteriore mi hanno sempre trasmesso sicurezza e una certa scorrevolezza sui tratti battuti. Piccola curiosità: Leo Kokkonen è anche l’uomo dietro al marchio Huck Norris
La Machine è un mezzo che certamente fa sentire sicuri in discesa, la stabilità del passo lungo la si percepisce già dai primi metri. Pensavo fosse difficile da fare girare nello stretto ma sorprendentemente è sufficiente caricare bene l’anteriore per fare derapare quella posteriore aiutando a chiudere la curva. Molto facile anche fare i nose press in presenza di tornantini stretti, la lunghezza della bici rende questa tecnica meno nervosa e piu controllabile. Certo, una 27.5″ con carro corto è più agile nello stretto ma qui è anche una questione di preferenza personale.
Ci sono alcune bici che colpiscono più di altre e da cui a fine test fai fatica a separarti. La Pole è una di queste. È un mezzo certamente un po’ estremo e stravagante con scelte tecniche e produttive uniche. Una bici non solo bella o quanto meno particolare, ma anche veramente performante ed efficace. Se volete farvi notare ci sono pochi marchi che possono battere la Pole.
I prodotti Pole sono venduti direttamente online, altre info sul sito Pole.
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