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Quando abbiamo visto i primi prototipi della nuova Rocky Mountain Maiden, al Crankworx di Whistler nel 2014, abbiamo capito subito che si trattava di qualcosa di grosso. C’era un gran bisogno che la Flatline venisse aggiornata e il telaio in carbonio ha attirato la nostra attenzione: si trattava della prima bici da DH del suo genere nella storia del marchio canadese. Due anni dopo la Maiden era disponibile al pubblico. Pieni di curiosità ed entusiasmo per questa bici, siamo riusciti a farcene dare una da testare per alcuni mesi. Ci è stata fornita la versione di media gamma, la Maiden World Cup. Trasmissione Shimano Saint, sospensioni BOS ed un buon set di componenti Race Face per un prezzo di 8.599 Euro.
Ogni dettaglio della Maiden è pensato e costruito estremamente bene. Passaggi cavi ben fatti, protezioni pen posizionate ed ampio spazio per i copertoni sono solo l’inizio.
Sulla carta, le geometrie della Maiden sono molto interessanti e sembrano adattarsi ad un ampio spettro di biker diversi. Il carro lungo soli 425mm, il movimento centrale basso ed il reach leggermente lungo si adattano bene a chiunque, dai weekend warriors, a chi fa gare e a chi frequenta principalmente bikepark. Riguardo alle geometrie, una delle trovate migliori (e meglio messe in pratica) è la compatibilità con due formati di ruota. Agendo su un chip sull’asse posteriore ed una calotta serie sterzo più bassa, le geometrie possono essere corrette facilmente per ruote da 26″ o 27.5″. Per la gioia dei freerider, il 26″, non è poi così morto.
I componenti scelti da Rocky Mountain per questa bici sono tutti di buon livello: solidi abbastanza per abusarne facendo freeride o nei bikepark, ma con un rapporto peso/resistenza tale da fare la gioia anche dei biker che vorranno usare la bici sul tracciato di una gara nel weekend.
Ammettiamo di aver dovuto giocare un po’ con le regolazioni prima di trovare il setup perfetto su questa bici. Ci è arrivata con lo sterzo bassissimo ed una molla un po’ morbida da 375 lbs. L’abbiamo sostituita con una da 400 e messo un paio di spacer sotto la piastra superiore della forcella. Ma non eravamo ancora soddisfatti. Con una molla da 425 ed il resto degli spacer sotto la piastra, il nostro tester alto 183 cm e pesante 84 kg ha trovato il setting adatto. Regolare le sospensioni, sia davanti che dietro, va fatto con degli attrezzi. In fin dei conti non possiamo lamentarci però dell’assenza di regolazioni toolless, perchè ci hanno costretti a pensare bene tutte le modifiche che facevamo. Abbiamo anche deciso di usare l’ammortizzatore sottosopra per facilitare l’accesso alle regolazioni. Il che aumenta di un pochino le masse non sospese. I fanatici potranno sempre girarlo nuovamente quando avranno trovato le regolazioni giuste.
Per la forcella abbiamo usato una pressione di 219 PSI e la piastra superiore nella posizione più alta. Abbiamo posizionato il Ride4 nella posizione più in avanti tra le due a metà altezza e l’asse posteriore nella posizione più alta, in modo da ottenere un movimento centrale bello basso, a circa 335mm.
Una volta regolata adequatamente la bici, sono emerse subito le sue qualità. I grandi cuscinetti ed i perni rendono il telaio uno dei più rigidi che abbiamo mai provato. Ma, più importante ancora, il telaio in carbonio ben studiato non è per niente “brusco”. Da un punto di vista ingegneristico, non è difficile esagerare e fare un telaio troppo rigido. Ciò che invece non è per niente facile è disegnare un telaio in carbonio che sia leggero ed abbia un feeling elastico quanto pasta per aiutare quando lo si porta al limite, e pur sempre abbastanza leggero da essere guidato con precisione. A proposito di peso: 15.87 kg rilevati da noi senza pedali e con un ammortizzatore a molla sono davvero pochi.
Un’altra caratteristica che ci ha colpito molto è la silenziosità di questa bici, in particolare del telaio. Dal canto suo, la forcella BOS produce il rumore tipico della casa francese a mò di “soffietto”. Malgrado ciò, le sue prestazioni sono molto alte: sensibile e ben sostenuta, la Idylle può essere tarata per ogni gusto, anche senza riduttori in plastica in stile Rock Shox o Fox. Bisogna infatti mettere mano all’olio, riuscendo però a renderla molto sostenuta a metà corsa senza bisogno di inserire un gran numero di riduttori che vanno poi a toccarne la progressività.
Con dei foderi posteriori lunghi solo 425mm, non siamo rimasti sorpresi dall’agilità della Maiden nelle curve. Tenete questa caratteristica ben a mente se volete fare gare: in questo caso è meglio prendere una taglia più grande per aumentarne la stabilità sul veloce scassato. Se invece girate in bike park, ne ammirerete la compostezza in curva e nelle braking bumps, senza venire scossi a destra e a manca. La bici rimane alta nell’escursione, in parte grazie alla cinematica ed in parte grazie alla lavorazione del telaio in carbonio. Salta piuttosto bene, in particolare se si tengono le sospensioni abbastanza dure e si chiudono leggermente le compressioni, in modo da poterla pompare bene prima di decollare.
Rocky Mountain ci ha detto che la bici è piuttosto progressiva dal punto di vista delle sospensioni, ma non l’abbiamo trovata così estrema. Come detto in precedenza, affonda abbastanza ad inizio corsa, offrendo però un buon sostegno successivamente. Nelle curve in velocità o sulle rampe dei salti tende a mangiarsi escursione piuttosto velocemente. Abbiamo risolto il problema chiudendo le compressioni alle basse velocità dell’ammortizzatore BOS, ottenendo l’effetto voluto senza però inficiarne il comportamento in altri frangenti. Il tuning scelto da Rocky Mountain per le sospensioni è quello giusto: durante tutta la durata del test non abbiamo mai sperimentato fondo corsa violenti, ma è stato sempre facile usare tutta la corsa. La cinematica della Maiden sembra piuttosto perfetta anche per un ammortizzatore ad aria…
In fase di pedalata la bici è risultata molto efficiente per una DH, mentre in fase di frenata la Maiden è neutrale, senza segni di blocco del carro.
Per quanto riguarda la componentistica, il gruppo Shimano Saint si è confermato essere molto solido ed affidabile. Tornare alle 10 velocità (il tester usa di solito un 7 velocità di SRAM, ndt.) necessita di un po’ di abitudine per non essere lì a cambiare ogni due secondi in cerca del rapporto giusto. In ogni caso ci sono delle soluzioni di e.13 e OneUp per trasformare il Saint in 7 velocità senza grosse spese. I freni sono potenti e performanti, l’unico neo è dato dal fatto che, se li si lascia fermi una o due settimane, fischiano durante la prima discesa.
Il guidacatena 3.13 e il cockpit fanno il loro egregio lavoro, mentre i cerchi Stan’s ZTR Rapid 30 si bozzano facilmente, tenendo comunque la pressione delle gomme tubeless e anche la centratura. L’alluminio di cui sono fatte è piuttosto morbido, caratteristica che piacerà a chi fa gare perché è più difficile tagliare una gomma. I mozzi non ci hanno mai dato problemi e le gomme Maxxis Minion DHR II ci sono piaciute moltissimo, in ogni condizione in cui le abbiamo usate.
Ad oggi, non abbiamo mai provato una bici da DH che fosse così polivalente. Rocky Mountain ha progettato la Maiden prevalentemente per i bike park, ma con pochi accorgimenti la si può adattare alle gare, senza stravolgerne il carattere giocoso che ve la farà apprezzare in tutte le altre occasioni, dal big mountain riding ai giri con gli amici con lo shuttle. La componentistica è solida, le sospensioni hanno un tuning fantastico e il peso è veramente da record, dato il montaggio, ma è il cuore della Maiden, cioè il telaio, che ci ha conquistato.
Prezzi e montaggi per l’Italia.
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