[Test] Rose Root Miller 2 29″

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Nella comparativa fra trailbikes 29″ dello scorso anno la Rose Root Miller aveva ben figurato, addirittura primeggiando alla voce discesa tecnica. Mantenendo la medesima linea e progetto di base, sulla nuova Root Miller sono state introdotte numerose novità tecniche ed una rivisitazione di grafiche e colorazioni.
Ciò che invece il brand tedesco non cambia è la filosofia di vendita, rigorosamente online e caratterizzata dalla possibilità di montare le bici “a la carte” utilizzando il configuratore online o, nel caso si desiderasse un componente non proposto da quest’ultimo ma presente a catalogo, richiedendolo via mail. Ogni modello prevede comunque una serie di allestimenti standard (solitamente tre), che nel caso della Root Miller in test è quello intermedio. Rispetto al montaggio “di serie” la bici in test differiva nelle ruote e nella trasmissione.



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La Root Miller 2 29″ in sintesi

Materiale telaio: Alluminio 7005 triple butted (peso dichiarato 2.8 kg)
Formato ruote: 29”
Geometrie variabili: no
Corsa ant/post: 140/140 mm
Compatibilità con formato 650+:
Boost posteriore:
Forcella boost:
Ammortizzatore metrico: sì (210×55 mm)
Ruote e coperture tubeless ready:
Trasmissione: 1×11 (30T ant / 11-46 post)
Attacco per deragliatore:
Attacco portaborraccia:
Colorazioni disponibili: black-stealth / candy blue-black
Disponibilità del solo frameset:
Garanzia telaio: 6 anni – 5 anni crash replacement
Peso rilevato (tg.L): 13.55 kg

Le geometrie

La rivisitazione delle geometrie ha portato la Root Miller nel gruppo delle trail spinte, quindi angolo sterzo piuttosto aperto e generose quote di reach, top tube ed interasse. Con un valore di chainstay di 447 mm, Rose resta però fra quei brand che hanno deciso di non estremizzare l’accorciamento del carro. Ipotizzando una scelta dettata da limiti progettuali, magari legati all’incremento di escursione, ci siamo presi la briga di comprimere totalmente l’ammortizzatore per una verifica dei margini. Inaspettatamente abbiamo visto che il carro sarebbe facilmente accorciabile senza dover rivedere il disegno del triangolo principale o ritrovarsi con passaggi ruota troppo risicati.

Nessun vincolo progettuale dunque, ma presumibilmente l’intenzione di favorire stabilità e soprattutto pedalabilità sul ripido. Un bene o un male? Dipende semplicemente da cosa cercate e da che tipo di biker siete, come vedremo in seguito.
Da segnalare che abbiamo rilevato un’altezza del movimento centrale di 345 mm, tre millimetri inferiore al valore dichiarato. Idem per quanto riguarda l’angolo sterzo, secondo le nostre misurazioni leggermente più aperto del dichiarato (circa 66.6°, anche se in questo caso ci è più difficile fare una misurazione precisa). Questo sposta ulteriormente la Root Miller nel gruppo delle trail spinte.

Analisi statica

Come detto il progetto di base resta quello della versione precedente, anche se le nuove grafiche e le geometrie più distese conferiscono una linea più filante. Oltre alla black-stealth che vedete in questo test , è disponibile una seconda colorazione denominata canby-blue/black. Il telaio è in alluminio 7005 triple butted con carro di tipo Horst, mentre l’escursione posteriore sale a 140 mm ed è gestita da ammortizzatori metrici.

La biella di rinvio, ben scaricata, resta quindi infulcrata su una “protuberanza” del seat tube e va a spingere l’ammortizzatore anteriormente ancorato al top tube. L’infulcro fra ammortizzatore e biella, quello dove le boccole sono maggiormente soggette ad usura, gira ora su cuscinetti.

L’obliquo mantiene la curvatura in prossimità del movimento centrale, così come la mantiene il top tube a ridosso del tubo sella consentendo di contenere la quota di standover. La rigidità del carro è garantita da un ponticello di collegamento con sezione ad U fra i foderi superiori e da uno a sezione triangolare fra quelli inferiori. Foderi inferiori che, in prossimità del movimento centrale lato trasmissione e posteriormente sotto l’attacco della pinza freno, presentano ora una bella lavorazione con nervature di rinforzo.

Anteriormente troviamo una forcella da 140 mm di travel con battuta da 110 mm (boost) e non è più più previsto il montaggio di forcelle da 130 mm (in precedenza c’era la doppia opzione). L’adozione del formato boost anche al posteriore consente l’utilizzo di ruote 27.5 plus. Un telaio totalmente al passo con i tempi, in definitiva, sul quale non mancano neppure l’attacco per il deragliatore, per il portaborraccia ed ISCG. Purtroppo non è più disponibile la versione anodizzata, che rispetto alla attuale verniciata permetteva un risparmio di peso di circa 300g (ovviamente non tutti dovuti all’anodizzazione).

Nella foto qua sopra la Root Miller in versione 27.5 plus, formato disponibile anche come primo montaggio (a fine test i prezzi delle varie opzioni). Senza girarci troppo attorno: soddisfatto delle prestazioni in formato 29″, per il quale la bici è ben ottimizzata, non avevo molta voglia di avventurarmi nel solito giochetto di equilibri fra peso, pressione ed affidabilità a cui costringe il formato plus.

Con la bici ci sono però state consegnate un paio di DT Swiss XM 1501 Spline con canale da 40 mm montate con coperture Nobby Nic da 2.8″, quindi preso dai sensi di colpa mi sono quantomeno preso la briga di montarle e verificare gli ingombri.

Come potete vedere dalle foto non ci sono punti dove il passaggio ruota è particolarmente risicato. La sezione massima delle coperture era di circa 70 mm.

Il passaggio cavi resta interno al telaio (ahimè anche quello del freno posteriore), ma è stato rivisto in alcuni dettagli. Mentre in precedenza il cavo del cambio ed il tubo del freno posteriore uscivano sotto il movimento centrale, ora escono al di sopra di esso. La posizione è più protetta e non è più necessario lasciare margine sotto il movimento centrale per compensare la compressione del carro. Rimane invece il “ponticello” del tubo del telescopico fra obliquo e seat tube, esteticamente discutibile ma comodo per eventualmente accompagnare lo scorrimento del tubo stesso.

Riviste anche le placchette fermaguaina nei punti di ingresso al telaio, di ottima fattura e più efficaci nel tenere in tensione i cavi evitando fastidiosi sbattimenti interni.

Altra novità è la comparsa di una spessa protezione in materiale gommoso incollata sotto l’obliquo. Rimane invece il solito batticatena in neoprene, efficace ma un po’ démodé.

Montaggio

Come detto il montaggio delle bici Rose può essere fatto “a la carte” attingendo dal catalogo Rose o aiutati dal configuratore online. Di seguito analizzeremo i componenti principali e più interessanti della bici da noi testata che, ad esclusione della trasmissione monocorona e delle ruote, sono quelli proposti nella configurazione standard.

Partiamo proprio dalle ruote, che sulla bici in test erano le DT Swiss XM1501 Spline One con canale da 30 mm. Rispetto alle Spank Oozy 345 Trail, anch’esse con canale da 30 mm, il peso scende di 300 g ed il contenuto del portafogli di 485 Euro. Ne vale la pena? Se avete deciso di concedervi un upgrade di quel valore, questo è sicuramente il primo da prendere in considerazione. In caso contrario non c’è motivo per cui con le ruote Spank non ci si possa comunque divertire.

Le coperture Schwalbe sono note per avere sezioni abbondanti e le Nobby Nic da 2.35″ non fanno eccezione, ben adattandosi ai cerchi da 30 mm di larghezza. Fra le opzioni a configuratore è disponibile anche la sezione 2.6″, nel caso si desiderasse un feeling che strizza l’occhio al formato plus ma su ruote da 29″. Per quanto concerne le prestazioni abbiamo apprezzato l’ottima tenuta all’anteriore, mentre al posteriore la solidità della struttura è al limite in rapporto alle prestazioni discesistiche della bici. Nonostante il sostegno accettabile dei fianchi, la carcassa non ci ha infatti convinti del tutto, avendola forata più volte durante il test (due delle quali in salita!).

La trasmissione monocorona è il secondo componente diverso rispetto al montaggio della configurazione standard, in questo caso senza aggravio di prezzo. Il gruppo rimane Shimano XT, con una guarnitura da 30 denti abbinata ad un pacco pignoni 11-46. Quando si parla di trasmissioni monocorona 11V ognuno ha le proprie teorie (ed esigenze) su dove vada posizionata la coperta.

Per quanto ci riguarda, trenta denti su una trail come la Root Miller ci sembra una scelta abbastanza equilibrata, anche se l’ancora di salvezza offerta dai 46 denti del pacco pignoni permetterebbe a chi è allenato di osare qualcosa di più. Nulla da dire sul funzionamento, sempre impeccabile.

Molti riterranno gli 800 mm di larghezza della piega Race Face Atlas persino eccessivi per una trailbike. Per quanto mi riguarda mi sono trovato alla perfezione e non l’accorcerei di un millimetro, ma a chi preferisce misure più convenzionali il configuratore offre diverse alternative (oppure basta usare il seghetto).

Apprezzato anche lo stem da 50 mm, corretto abbinamento ad una piega di quel tipo. Il cannotto della forcella era tagliato in modo da consentire allo stem un rialzo massimo di 10 mm. Dopo averlo sfruttato tutto (la bici è arrivata con 5 mm di rialzo), non ci sarebbe dispiaciuto fare qualche prova con ulteriori 5 mm di rialzo. In fase di ordine è comunque possibile richiedere un margine più ampio.

Il collarino Shift Mix permette di posizionare in modo ottimale il comando cambio Shimano e di salvare qualche grammo. Non altrettanto riuscito l’accoppiamento con il comando idraulico del Reverb, costretto dalle leve freno ad una posizione eccessivamente orientata verso l’alto. Nulla di drammatico, ma neppure la posizione ergonomicamente più felice. Molti non amano i freni Magura a causa delle leve non di tipo “one finger” (comunque disponibili come upgrade). Personalmente non ho problemi ad utilizzarle con un solo dito, ma in questo potrei essere facilitato dalle mani grandi.

Per quanto riguarda le manopole nessuna paura, la bici non arriva con quelle consumate che vedete in foto. L’idiosincrasia nei confronti delle Ergon GA30 montate di serie è una cosa del tutto personale.

I freni Magura MT5 a quattro pistoni appartengono alla Gravity Series della casa tedesca e le prestazioni sul campo lo confermano: potenti, resistenti al surriscaldamento e sufficientemente modulabili. Il disco anteriore da 203 mm è persino eccessivo, specie per i meno pesanti che probabilmente baratterebbero un po’ di potenza frenante (ce n’è da vendere) con una riposta più pastosa e modulabile.

Sostituendo la coppia di pastiglie originali in blocco unico con quattro pastiglie separate abbiamo notato un percepibile miglioramento sul fronte modulabilità, non sappiamo se a causa di una diversa distribuzione delle forze o per la diversa mescola. Per il disco posteriore da 180 mm non servono adattatori, essendo il telaio dotato di attacco post mount per dischi di quel diametro.

La sella SDG Circuit MTN non è delle più morbide ed ha richiesto qualche uscita di adattamento.
La configurazione standard prevede il Reverb con 125 mm di abbassamento, ma su una taglia L per il 90% delle persone ci sta meglio quello da 150 mm come montato sulla bici in test. La sella SDG Circuit MTN ha richiesto un po’ di adattamento a causa della scarsa imbottitura.

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Le sospensioni

In configurazione standard la Root Miller 2 monta sospensioni Rock Shox sia all’anteriore che al posteriore. Davanti troviamo infatti una Pike RC SoloAir da 140 mm, mentre l’ammortizzatore è un Deluxe RT3 da 210×55 mm. Oltre al consueto controllo del ritorno, la Pike consente la gestione della compressione tramite un registro unico, utilizzabile anche per stabilizzare la forcella in salita. Trattandosi di una delle forcelle più diffuse eviteremo di annoiarvi con analisi già lette e rilette, limitandoci a dire che ai tre token già presenti ne abbiamo aggiunto un quarto per poter leggermente ridurre la pressione dell’aria e perciò migliorare la sensibilità iniziale mantenendo una buona protezione contro il finecorsa.

Sicuramente meno conosciuto è invece l’ammortizzatore metrico Deluxe, del quale abbiamo apprezzato il comportamento sia in salita che in discesa. Rose ha scelto un tuning della compressione abbastanza frenato, con effetti che vedremo al capitolo discesa. La spaziatura fra le tre posizioni del registro della compressione è comunque ottimale, soprattutto per la possibilità di sfruttare efficacemente quella intermedia senza che la sospensione rimanga troppo ruvida o incassi eccessivamente.

Con un sovrapprezzo di 144 Euro è possibile montare un Super Deluxe, opzione che chi vuole enfatizzare le prestazioni discesistiche dovrebbe prendere in seria considerazione. Per il test ci sono stati forniti entrambi gli ammortizzatori, che abbiamo quindi potuto alternare sugli stessi tracciati. Per il Super Deluxe è stato giustamente scelto un tuning della compressione meno frenato, anche se la posizione lock persino più efficace del Deluxe lo rende tutt’altro che inadatto alle lunghe salite.

Venendo al punto, vale la pena montare il Super Deluxe? La risposta è sì se volete privilegiare le prestazioni in discesa, non solo per la maggiore resistenza al surriscaldamento – quindi costanza di comportamento sulle discese lunghe e scassate – ma anche per la riposta più “plush” del carro. La risposta è no se volete privilegiare le prestazioni in salita e la prontezza sui rilanci, visto che il Deluxe è leggermente più leggero (circa 80g), ma soprattutto favorisce la risposta alla pedalata grazie alla maggiore frenatura della compressione.

Salita

Con 13.55 kg da noi rilevati la Root Miller non è una piuma, e questo è l’unico appunto di un certo rilievo che le si può muovere. La posizione in sella è ben equilibrata, non troppo agressiva ma neppure eccessivamente “seduta”, con il risultato di non essere stancante sulle salite più lunghe. La stabilità della sospensione posteriore è molto buona, e la frenatura intermedia del Deluxe è già sufficiente ad annullare qualsiasi fenomeno di bobbing. Su asfalto vale comunque la pena utilizzare la posizione più chiusa, ottenendo così una risposta pronta e scattante anche in fuorisella.

Come già rilevato a suo tempo con la precedente versione, a dispetto del peso è però sul ripido e tecnico che la Root Miller offre le prestazioni migliori. Il carro lungo abbinato al tubo sella suffcientemente verticale consente infatti una pedalata rotonda e regolare senza bisogno di troppi contorsionismi per evitare che la ruota anteriore perda contatto con il terreno. Un altro vantaggio di questo assetto è non dover mai ricorrere alla posizione lock del Deluxe, lasciando che la sospensione resti libera di lavorare e la ruota ben incollata al terreno.

Superare le rampette malefiche che si incontrano lungo certe discese non è quindi un problema, così come non lo è sfruttare una rapportatura corta come il 30-46 montato sulla bici in test. Si fatica meno spingendo la bici? Può darsi, ma in fin dei conti anche la capacità di restare in sella è parte del gioco, specialmente (si presume) per chi si orienta su una trailbike. Nell’eterna ricerca del migliore compromesso fra le esigenze della salita tecnica e della discesa – aspetto particolarmente importante su una bici di questo tipo – l’altezza del movimento centrale di circa 345 mm ben asseconda le caratteristiche della sospensione evitando che i pedali tocchino troppo facilmente il suolo. Aiutati dalla trazione delle ruote da 29″ e dall’assenza di pedal kickback, il superamento degli ostacoli diventa quindi una pura questione di gamba e tecnica.

Nei tornantini in salita la possibilità di lavorare con decisione di sterzo senza che la ruota anteriore perda direzionalità compensa efficacemente le geometrie distese, ed all’atto pratico l’agilità in questi frangenti non è inferiore a quella di concorrenti dalle geometrie più chiuse e raccolte.

Discesa

Apriamo questo capitolo analizzando il comportamento della sospensione posteriore, che come anticipato abbiamo fatto lavorare sia con il Deluxe che con il Super Deluxe.
Con un air spacer nel Deluxe saggato al 30% la curva di compressione è ottimale, ben sostenuta a centro corsa e progressiva al punto giusto per gestire senza difficoltà salti e drop che si possono trovare sui sentieri naturali. Perchè queste doti emergano al meglio va però superata una sorta di soglia di velocità, al di sotto della quale la sospensione ha un comportamento più ruvido rispetto a quello che si ottiene con il SuperDeluxe.

Un tuning meno frenato in compressione darebbe una risposta più plush, ma considerata la tipologia di bici è un settaggio che ha un senso e che premia in termini di reattività nei rilanci, frangente dove la Root Miller risponde bene anche ad ammo aperto. Come detto al capitolo sospensioni, se si desidera un feeling più morbido e contestualmente una maggiore resistenza al surriscaldamento, il consiglio è di optare per il Super Deluxe.

Quale che sia l’ammortizzatore utilizzato, stabilità e precisione in velocità sono sorprendenti in rapporto ai 140 mm di travel, e perchè la differenza con bici di livello superiore (leggasi enduro) emerga in modo percepibile bisogna andare a cercare il rotto, ripido e veloce. Differenza che si sente soprattutto all’anteriore per via del maggiore lavoro di braccia richiesto, molto meno al posteriore dove il carro incassa molto bene anche urti di grossa entità in veloce sequenza. Interasse lungo, piega larga, stem relativamente corto e ruote da 29″ offrono comunque un grande aiuto nel mantenere stabilità in queste situazioni, e più di una volta mi sono sorpreso per essere uscito totalmente indenne da tratti molto sconnessi affrontati con un po’ troppa spavalderia.

Per effetto dell’abbondante quota di chainstay e delle geometrie globalmente ben distese, nel guidato è necessaria una guida più aggressiva rispetto a quella richiesta da trailbike più “tranquille”. Sia chiaro, non serve mordere la ruota anteriore per girare, ed in ogni caso l’approccio per sfruttare al meglio le 29” con queste carattersitiche è il solito: lasciar correre e raddrizzare le linee sfruttando la stabilità e la facilità con cui gli ostacoli vengono scavalcati. Quando inesorabilmente bisogna destreggiarsi nello stretto e nelle sezioni ritmiche, giocare sufficientemente d’anticipo e caricare l’anteriore dando fiducia al grip delle ruote da 29”. Applicando queste regole, neppure sulle discese più lente e tortuose ho mai avuto problemi.

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Quanto detto sino ad ora farà comprendere come, in una ipotetica suddivisione fra mountain bike giocose e stabili, la Root Miller starebbe nel secondo gruppo. Da questo punto di vista il carro lungo si fa infatti sentire più che nei cambi di direzione, dato che la ruota anteriore, al pari di quanto riscontrato in salita, tende a stare ben attaccata al terreno. Se da un lato chi ha una guida poco fisica e decisa potrà avere qualche difficoltà nel condurre la bici in modo dinamico, dall’altro trarrà beneficio dalla stabilità e precisione dell’aventreno anche quando non caricato con decisione. Chi invece è più smaliziato nella guida, per tenere andature “salterine” dovrà preventivare un maggiore impegno fisico rispetto a telai con quote più corte di chainstay, fermo restando che la maggiore velocità di conduzione di questi biker è un’alleata nel restituire l’energia necessaria a rendere “viva” la guida.

Come al solito non ci siamo fatti mancare neppure qualche uscita vert-style (ad esempio la simpatica discesa dallo Zucco di Sileggio), apprezzando in particolare l’elevato limite di ribaltamento e la facilità di superamento degli ostacoli. Nei passaggi da nosepress estremamente angusti il maggiore ingombro rispetto a bici più corte con ruote da 27.5” si fa sentire, ma non si può dire che costituisca un vero e proprio limite.

Tirando le somme, in discesa la Root Miller sarà apprezzata da chi cerca un feeling di guida e prestazioni che siano quasi da bici da enduro.

Conclusioni

La bici totale” probabilmente non esisterà mai. Da sempre esistono però bici più poliedriche di altre, ed a mio giudizio oggi sono da cercare fra le trailbike con ruote da 29”. La Root Miller lo conferma, e per quanto regali le soddisfazioni maggiori sulle salite tecniche e quando spinta con decisione in discesa, è difficile trovare una situazione nella quale sia inadeguata. Da non sottovalutare la possibilità di poterla montare praticamente a piacimento.

Prezzi

Bici completa in configurazione standard: 2.929,82 €
Bici in test: 3.405,82 €
Telaio: 1.014,96 €

rosebikes.it

 

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