[Test] Rose Root Miller 3 e Supertrail

Premessa: la valutazione espressa in stellette si riferisce alla Root Miller 3. La Supertrail perde mezza stella in salita ma guadagna le 5 stelle alla voce componentistica ed alla voce discesa. Mezza stella in più per la Supertrail anche nella valutazione finale.

Testare una bici tenendo un filo diretto con chi l’ha progettata non è sempre fattibile. Ben volentieri abbiamo quindi accettato la proposta di Rose Italia di incontrare Max Sistenich e Christoph Krüppel, i due ingegneri che da un paio d’anni progettano le mountain bike della casa tedesca, e con loro discutere delle soluzioni adottate sui nuovi modelli.



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Essendo entrambi appassionati bikers, le nostre chiacchierate sono avvenute durante tre giorni di riding a cavallo fra Valtellina, Val Brembana ed Alto Lario. Purtroppo non sempre con un sole splendente, come testimonia la foto qua sotto scattata sulla cima del Legnoncino…

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Diversi i modelli che Christoph e Max si sono portati in questa trasferta alpina e che abbiamo potuto provare. Fra i più interessanti c’è la Root Miller, full 29″ da 130 mm di escursione posteriore.

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Tre gli allestimenti previsti, tutti disponibili anche in una versione denominata Supertrail montata con sospensioni più “discesistiche”. Sospensioni a parte, la Supertrail condivide il medesimo telaio e non sono previsti ulteriori componenti specifici. La Root Miller 3 oggetto del test monta una forcella Fox Float 32 FIT CTD da 130 mm di corsa ed un ammortizzatore Fox Float CTD Trail Adjust. Nella Supertrail troviamo invece una Pike RCT3 da 140 mm e Monarch Plus RC3 con pari valori di interasse e corsa del Float (190 x 51 mm). 
Ricordiamo in ogni caso che Rose permette di personalizzare a piacimento il montaggio attraverso un configuratore on-line, oppure via mail nel caso di componenti non contemplati dal configuratore ma comunque presenti sul corposo catalogo Rose.

Al termine dei tre giorni in compagnia dello staff Rose, la Root Miller 3 ci è stata lasciata per alcune settimane permettendoci di testarla a fondo. Le due giornate di utilizzo della Supertrail non possono essere definite un test approfondito, sono però state sufficienti per farci cogliere le differenze rispetto alla 3. Come leggerete le sorprese non sono mancate…

 

Analisi statica

La Root Miller non è sfuggita alla rivoluzione che ha interessato buona parte della gamma Rose 2015. Al posteriore resta il collaudato Giunto Horst, ma la curva è stata rivista e la bielletta di rinvio dell’ammo è ora infulcrata sul seat tube e non più sul top tube.

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Cambia radicalmente anche la forma del triangolo principale, con il top tube molto più inclinato ed una marcata curvatura a ridosso del seat tube.
Se da una parte ne risulta una linea moderna con evidenti vantaggi in termini di contenimento della quota di standover ed abbassamento del baricentro, il rovescio della medaglia è una potenziale perdità di rigidità del carro a causa dell’angolo più chiuso fra foderi inferiori e superiori. Per mantenere una buona rigidità dell’insieme si è quindi lavorato su due fronti: il primo è l’adozione di quattro cuscinetti sul giunto Horst e sullo snodo fra fodero superiore e bielletta di rinvio dell’ammo, il secondo è stato quello di piazzare un yoke generosamente dimensionato a ridosso della scatola del movimento centrale ed un archetto di collegamento fra i foderi superiori. La classica prova di sollecitare torsionalmente il carro facendo leva sulla ruota non evidenzia flessioni degne di nota, segno che si sono ottenuti i risultati sperati.

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68.5° di angolo sterzo, stem da 60 mm montato con rise + 6° e la bella piega Race Face Next da 760 mm lasciano intuire una certa attenzione verso le prestazioni discesistiche, mentre i 74.5° del seat tube dovrebbero comunque garantire una buona pedalabilità. Geometricamente parlando, come potete vedere dalla tabella riportata più sotto, la Root Miller 3 si attesta su valori ormai abbastanza collaudati per bici di questa escursione e formato ruote. Nella versione Supertrail le geometrie sono invece leggermente più distese per effetto della maggiore altezza della Pike rispetto alla Fox 32. Per quanto non siano le uniche quote a cambiare, le variazioni più significative sono quelle che riguardano gli angoli sterzo e seat tube (circa – 0.6°) e l’altezza del movimento centrale, che dai 340 mm della versione “standard” sale a 345 mm.

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Restando in tema altezza del movimento centrale, 340 mm sono un buon compromesso fra la necessità di un baricentro basso che favorisca le prestazioni discesistiche e quella di avere una sufficiente luce da terra per le salite tecniche. Di norma chi sceglie una bici di questo genere cerca un mezzo capace di cavarsela un po’ in tutte le situazioni, diventa quindi fondamentale trovare il miglior bilanciamento possibile.

Nonostante la pompa degli SRAM di generose dimensioni, la forte inclinazione del top tube mette al riparo da pericolosi impatti in caso di rotazione del manubrio (tipicamente come conseguenza di una caduta).

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Bene il routing interno dei cavi, realizzato con cura e privo di curve critiche, anche se per quanto riguarda il freno posteriore un routing totalmente esterno sarebbe molto più pratico nel caso in cui l’impianto andasse smontato (ma soprattutto quando andrà rimontato). La parte inferiore del top tube rivela una piccola chicca: il profilo concavo per contenere in posizione ben protetta e fuori dalla vista laterale il cavo di un eventuale reggi telescopico non di tipo stealth. Per quest’ultima tipologia è invece previsto l’apposito routing interno al tubo obliquo ed al seat tube.

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Il forcellino è compatto ed alloggia il perno passante posteriore, soluzioni che garantiscono un’ottima rigidità dell’insieme e bel passo avanti rispetto alle versioni pre-2015 dove era tenuto in posizione dal mozzo sul quale andava in battuta. Una piccola vite fissa il forcellino al telaio, in modo che resti al suo posto quando si rimuove la ruota.

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Il telaio non è dotato di protezioni integrate sotto l’obliquo e come batticatena troviamo la classica protezione in neoprene chiusa con velcro. Sono piccole note stonate in rapporto alla buona cura generale dei dettagli, sia estetici che funzionali.

Sulle scelte grafiche lasciamo ad ognuno il proprio giudizio, trattandosi di un aspetto molto soggettivo. Noi ci limitiamo a constatare che la qualità realizzativa sembra buona e la vernicitura resistente, anche se il riscontro andrebbe fatto sul lungo termine (la bici da noi testata era comunque in circolazione da qualche mese).

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Tornando invece ad aspetti più pratici, la sospensione posteriore presenta una curva progressiva su gran parte della corsa e regressiva negli ultimi mm. La progressività, meno marcata nei primi mm di corsa per non compromettere la sensibilità, dovrebbe garantire una risposta della sospensione “piena” e quindi reattività in fase di rilancio. La regressività finale, interagendo con la progressività del Float con camera low volume, permette invece di sfruttare il travel senza che la sospensione “muri” con troppo anticipo. Il tuning dell’ammortizzatore, come ormai consuetudine per le case maggiori, è customizzato in funzione delle caratteristiche del carro. Grazie al rapporto di compressione mai troppo elevato l’ammo lavora con pressioni relativamente contenute. Per dare un’idea, nel Float della Root Miller3 un rider di 75 kg deve caricare circa 165 psi per ottenre un SAG del 25%.

Cosa che farà piacere ai nerd della mtb, siamo riusciti a carpire agli ingegneri Rose il grafico del rapporto di compressione che vedete qua sotto.

leverage ratio Rose Root Miller 2015

Restando in tema sospensioni, analizziamo le unità adottate partendo dalla versione standard, come abbiamo visto equipaggiata con una Fox Float 32 FIT CTD da 130 mm di travel con controllo remoto del CTD e da un ammortizzatore Float CTD Trail Adjust da 190 mm di interasse per 51 mm di travel.

Qualche perplessità riguarda la taratura poco omogenea del registro CTD: mentre la posizione Climb sulla forcella corrisponde sostanzialmente ad un blocco, nel caso dell’ammo siamo piuttosto lontani da questa condizione. La posizione Trail della forcella è inoltre la quasi fotocopia della posizione Descend, mentre il CTD Trail Adjust permette una taratura della compressione su ben cinque livelli. Per finire avremmo volentieri barattato il comando remoto della forcella con quello dell’ammortizzatore, dato che azionare la levetta del CTD su quest’ultimo, magari per rilanciare lungo una discesa, è meno agevole e sicuro che intervenire sulla forcella.

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Entrambe le unità svolgono bene il loro lavoro finchè non si forza la mano in discesa, in caso contrario emerge qualche limite. La forcella, oltre a non essere un mostro di rigidità, è poco sostenuta nella parte centrale della corsa, cosa che emerge in particolare sui tracciati più ripidi o nelle curve in appoggio. In caso di discese lunghe e sconnesse l’ammortizzatore tende invece a surriscaldare, con un percepibile cambiamento della risposta elastica ed idraulica. Sarebbe ingiusto definire queste unità inadeguate per una trailbike, ma il “problema” è che le bici con questo formato ruote ed escursioni hanno raggiunto performance discesistiche di tutto rispetto.

La musica cambia sulla Supertrail, dove Pike RCT3 e Monarch Plus RC3 offrono prestazioni in linea con le potenzialità del telaio. Le regolazioni disponibili riflettono la maggiore indole discesistica di queste sospensioni, soprattutto per quanto riguarda la forcella che dispone del registro della compressione low speed. Stando ai valori dichiarati, il prezzo totale da pagare sul fronte del peso montando l’accoppiata Rock Shox è inferiore ai 150 g. Tutt’altro che drammatico…

La sezione delle Schwalbe Hans Dampf da 2.35″ è persino eccessiva per la tipologia di bici. A fine test, complice la rigidità non granitica delle ruote, sia i foderi superiori che quelli inferiori presentavano traccia di qualche contatto con il pneumatico nonostante lo spazio per il passaggio di quest’ultimo non sia troppo risicato. A nostro giudizio la copertura posteriore potrebbe tranquillamente essere sostituita con un modello meno voluminoso, un po’ più scorrevole e magari con dei tasselli laterali che non si scavano alla base (ci chiediamo quando Schwalbe riuscirà a risolvere questo annoso problema).

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Le ruote DT Swiss XM 1501 Spline One si sono ben comportate reggendo la centratura fin quasi a fine test, quando all’atterraggio da un salto tre raggi della posteriore hanno ceduto di schianto. Per onore di cronaca dobbiamo dire che, oltre a trattarsi di una ruota che per mesi aveva macinato discese ai vari press-camp, gli strapazzi non gli sono stati risparmiati (tanto per rendere l’idea, il trapasso è onorevolmente avvenuto su uno dei tracciati preparati dal DHiller e campione italiano di SE Marco Milivinti per allenarsi…).

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Bella e leggera la guarnitura Race Face SIXC con bash. La doppia 24/36 permette di trarsi d’mpaccio tanto sulle lunghe e ripide salite alpine che nei veloci trasferimenti su asfalto anche a chi non ha dei pistoni idraulici al posto delle gambe o la capacità di pedalare con cadenze forsennate. Ciò non toglie che, per biker ben allenati o con particolari esigenze, l’opzione singola non sarebbe affatto disprezzabile e consentirebbe un ulteriore risparmio di peso.

La trasmisione è affidata ad un misto X0-X9 di SRAM, mentre come reggisella telescopico troviamo il collaudato Reverb da 150 mm di travel. Comoda la sella SDG, mentre si conferma l’incompatibilità del sottoscritto con le manopole Ergon GA1 ed il loro ingombrante collarino esterno (smontate infatti alla seconda uscita e sostituite con quelle che vedete nelle foto). I freni sono gli SRAM Guide RSC dei quali è stato recentemente pubblicato il test.

La bici da noi testata, taglia M montata tubeless, pesava 13.07 kg. Non siamo ai livelli di certe top di gamma in carbonio, ma considerando che neppure il prezzo è a quei livelli ed il montaggio è adeguato, si tratta di un buon risultato. Ok, è tempo di prova sul campo…

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Salita

Versione standard

La Root Miller non è una bici che risponde alla spinta sui pedali schizzando via da sotto il sedere. Non lo è ad ammo aperto, e fin qui nulla di strano, ma neppure con il Float in posizione Climb, vista la frenatura tutt’altro che granitica. Se però si adotta una pedalata regolare, anche a cadenza elevata, basta un’occhiata al cronometro o ai rapporti che si stanno spingendo per realizzare che tutto sommato si procede piuttosto spediti. Con l’ammo in posizione Descend il carro non è esente da bobbing, ma nulla di drammatico o che non possa essere annullato spostando la levetta del Fox sulla posizione Climb o Trail. Disponendo quest’ultima di tre posizioni, per un totale quindi di cinque livelli di frenatura, diventa quasi impossibile non trovare il proprio setting ideale.

Se sui fondi meno impegnativi la bici soddisfa ma non vola, sul ripido e tecnico emerge invece un carattere di ottima arrampicatrice. Trazione e capacità di scavalcamento degli ostacoli delle ruote da 29″ non tradiscono, per cui si sale regolari anche dove gli altri formati ruota richiederebbero una guida con frequenti rilanci per evitare perdite di aderenza ed impuntamenti. Nulla da eccepire neppure sulla direzionalità dell’anteriore, ben attaccato al suolo sul ripido e facile da indirizzare anche nei tratti tortuosi. Finchè gli ostacoli non sono troppo grossi e la pendenza accettabile, giocando con i tre livelli della posizione Trail del Fox si può ottenere un setting che salvi comfort ed efficacia. Sulle forti pendenze ed in presenza di grossi ostacoli vale invece la pena sacrificare un po’di comfort e sfruttare la posizione Climb, la quale permette di mantenere un assetto favorevole minimizzando al contempo il rischio di contatto dei pedali con il suolo.

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Versione Supertrail

Partendo dal presupposto che a pari montaggio la differenza di peso delle sospensioni è quasi ininfluente, è stato interessante valutare le differenze legate alla posizione in sella più arretrata, con ciò che comporta anche in termini di diversa distribuzione dei pesi e direzionalità dell’avantreno sul ripido. Da questo punto di vista la Supertrail si è comportata bene, tanto che non ci sentiamo di considerarlo un parametro che possa fare la differenza nell’eventuale scelta fra le due versioni. In altre parole, a meno che il vostro principale cruccio non sia scalare le salite più assurde mordendo il manubrio, non preoccupatevi più di tanto di quel cm in più di altezza della forcella e relative variazioni geometriche.

Il Monarch Plus montato sulla Supertrail può essere regolato su tre livelli di compressione: Open, Pedal e Lock. A differenza di quanto la denominazione farebbe supporre, il Lock non è un blocco totale, ed al pari della posizione Climb del Float si è rivelata una soluzione valida anche sul tecnico. La posizione Pedal è ok se si è disposti a sacrificare un po’ di reattività in favore del comfort, mentre in posizione Open è abbastanza percepibile il calo di resa della pedalata.

La bici da noi provata montava un XX1 con corona da 32 denti, scelta adeguata per chi ha un buon allenamento e non intende impegnarsi in salite particolarmente ripide e lunghe. Se però l’allenamento non è proprio il top, o magari prevedete di usare la bici anche in lunghi giri alpini su pendenze elevate, un paio di denti in meno non guastano. Fortunatamente Max e Christoph si erano portati appresso una corona da 30 denti, cosa di cui abbiamo volentieri approfittato il secondo giorno di test, quando ci siamo trovati a pedalare sulle strade di servizio delle piste da sci della Valmalenco.
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Discesa

Versione standard

La Root Miller 3 sfoggia in discesa un comportamento sicuro e ben bilanciato. La bici è stabile in velocità e nonostante le ruote da 29″ si lascia destreggiare senza grosse difficoltà anche nello stretto. L’avantreno ben piantato a terra non la rende particolarmente giocosa, e sollevare la ruota anteriore richiede un’azione piuttosto decisa. Meno dispendioso è lasciarla correre confidando nella capacità di scavalcamento degli ostacoli delle ruote da 29”. Le sospensioni svolgono il loro lavoro, anche se una risposta un po’ più “corposa” nella parte centrale del travel da parte dell’ammortizzatore renderebbero la bici più reattiva nel guidato. Idem per la forcella che, pur avendo un’elevata progressività finale, manca di un registro della compressione utile sulle discese ripide e rotte.

Molto bene nel tecnico-lento, dove la capacità di ingurgitare grossi ostacoli senza scomporsi ci ha spinti ad osare passaggi solitamente riservati a bici dall’indole ben più discesistica (almeno sulla carta).

Da segnalare qualche caduta di troppo della catena a causa della scarsa efficacia della frizione del cambio X0 Type 2. Non trattandosi di una bici nuova, è probabile che il tensionamento si fosse allentato con l’uso.

Bene i freni SRAM Guide RSC per potenza e costanza di prestazioni, anche se l’anteriore ci è parso in più di un’occasione persino troppo esuberante. Da non scartare l’ipotesi di montare anche davanti un disco da 180 mm in sostituzione di quello da 200 mm montato di serie.
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Versione Supertrail

Possono delle diverse sospensioni ed una contenuta variazione delle quote geometriche cambiare il carattere di una mountain bike in discesa? La risposta affermativa è scontata, meno scontato è che il cambiamento sia dell’entità riscontrata passando dalla Root Miller 3 alla Supertrail

Ma andiamo con ordine, cominciando col dire che i 5 mm di incremento dell’altezza del movimento centrale non compromettono la stabilità, anche perchè compensati dalla maggiore apertura dell’angolo sterzo e dalla possibilità offerta dal Monarch di adottare valori di sag leggermente maggiori rispetto al Float grazie ad una risposta più “piena” nella parte centrale della corsa ed una maggiore progressività finale. Queste caratteristiche, che assieme alla maggior rigidità troviamo anche nella forcella, esaltano l’indole discesistica della Supertrail molto più di quanto ci saremmo attesi. Rispetto alla versione standard, complice la distribuzione dei pesi leggermente più arretrata e perciò un avantreno più facile da alzare, la Supertrail è infatti più reattiva, esce meglio dalle curve in appoggio, è più facile da “pompare” e l’avantreno affonda meno sul ripido. Condensando il tutto in un termine poco tecnico, si può dire che la bici diventa più “giocosa”.
Un’altra caratteristica che ci ha impressionati è la capacità di superare le sezioni sconnesse senza scomporsi. In queste situazioni le prestazioni sono poco distanti da quelle di un modello da enduro, rispetto al quale si è costretti sulla difensiva solamente quando allo sconnesso si somma una forte pendenza.

Buona la resistenza del Monarch al surriscaldamento, la quale si traduce in costanza di prestazioni e maggior facilità nel trovare il giusto setting senza che l’ammortizzatore sia troppo pigro a freddo ed eccessivamente reattivo a caldo.

Morale della favola, se la versione standard in discesa ci ha soddisfatti, la Supertrail ci ha stupiti in positivo. La cosa sorprendente è come la bici sia più performante su tutto lo spettro delle prestazioni discesistiche, senza accusare scompensi o perdere colpi dove sulla carta le geometrie più distese potrebbero essere penalizzanti. Ancora più interessante, considerato che in fin dei conti non siamo tutti agonisti, è che le maggiori prestazioni non vanno a discapito della facilità di guida.

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Conclusioni

A parte qualche dettaglio dai risvolti pratici poco significativi, la Root Miller è una bici indovinata. I “soli” 130 mm di escursione posteriore e le ottime performance sulle salite tecniche non traggano in inganno: il comportamento generale la rende più simile ad una performante all mountain che una scattante trailbike, cosa che vale in particolar modo per la versione Supertrail.

In definitiva Root Miller 3 o Supertrail? Per gusto personale Supertrail senza dubbio. Al di là delle preferenze soggettive, è un dato di fatto che prestazioni paragonabili in salita ma superiori in discesa ne ampliano lo spettro d’uso rispetto alla versione standard.

Pesi e prezzi

Peso tg.M montata tubeless: 13.07 Kg
Prezzo Root Miller 3: 3.484,69 €

rosebikes.it

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