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Da oltre due mesi stiamo strapazzando la Rose Uncle Jimbo 2 presentata in questo articolo, ed ora siamo pronti a darvi le prime impressioni. Nonostante la bici verrà utilizzata per i test di componenti vari, le impressioni che trovate di seguito fanno riferimento alla configurazione originale, volutamente mantenuta sino ad ora per evitare di falsarne le prestazioni con componentistica che potrebbe non essere disponibile fra le opzioni previste da Rose.
Per quanto riguarda il montaggio nei dettagli e le modifiche da noi richieste vi rimandiamo quindi al citato articolo di presentazione, concentrandoci di seguito sull’aspetto prestazionale vero e proprio.
Nuova veste estetica, nuovo formato ruota (ora 650b), nuove soluzioni per quanto riguarda il posizionamento dei leveraggi, escursione che sale a 165 mm e, anche in virtù delle ruote di maggiore diametro, geometrie leggermente riviste. Sotto molti aspetti la UJ 2015 è una bici totalmente nuova rispetto alle versioni precedenti, mentre per quanto riguarda la sospensione posteriore gli ingegneri Rose hanno deciso di andare sul sicuro restando fedeli al giunto Horst (il che non significa che la risposta della sospensione non sia stata rivista, come vedremo) .
Che piacciano o meno, le nuove linee sono oggettivamente più moderne, mentre le grafiche non fanno strappare i capelli. Ci riferiamo in particolare a quelle sul top tube, che anziché “smorzarne” la curvatura la fanno sembrare più spigolosa ed accentuata di quanto sia realmente.
Critica sulle grafiche a parte, anche grazie al routing interno dei cavi la linea è pulita e trasmette un’idea di leggerezza che, con 13.8 kg di peso, la bilancia conferma non essere solo un’impressione. Peso da considerare in rapporto al montaggio, ovviamente.
Il top tube ben inclinato tiene bassa la quota di standover, mentre il doppio archetto di rinforzo sui foderi superiori del carro (uno davanti ed uno dietro al seat tube) ed il generoso joke su quelli inferiori conferiscono la necessaria rigidità torsionale. Generoso anche il dimensionamento in zona movimento centrale.
I cavi cambio, deragliatore e freno posteriore fuoriescono sotto l’obliquo, in posizione non troppo esposta. Per esperienza personale posso dire che si tratta di una soluzione che spesso preoccupa più del dovuto, avendo utilizzato per anni bici con routing di questo tipo senza particolari problemi. Il cavo del telescopico passa esternamente in prossimità del movimento centrale, formando un “ponticello” fra obliquo e seat tube. Esteticamente non è il massimo, in compenso è molto comodo per accompagnare il cavo stesso quando si alza o abbassa il cannotto senza correre il rischio di danneggiare la connessione idraulica del Reverb.
Poco pratico invece il passaggio interno del tubo del freno posteriore, nel caso in cui si dovesse smontare/rimontare l’impianto.
Il telaio è privo di protezioni integrate, soluzione ormai consolidata fra i marchi di alto livello. E’ tuttavia facile rimediare con poca spesa, nel nostro caso con una pellicola trasparente sui foderi e con un efficace strato di gomma adesiva sotto l’obliquo.
Ottima invece la realizzazione del forcellino, posizionato esternamente al telaio e filettato per accogliere il perno passante dal quale è saldamente tenuto in sede. Si tratta di una soluzione che, oltre a garantire rigidità, evita la possibilità di creare danni al telaio nel caso in cui il forcellino venga sottoposto a forti flessioni (la classica sassata, piuttosto che una caduta o il ramo malefico che si incastra nel cambio).
Sempre a proposito di dettagli funzionali: la parte inferiore del top tube è a profilo concavo per permettere l’alloggiamento ben protetto e nascosto di un eventuale cavo del telescopico non di tipo stealth.
I quick release faranno pure poco “racing” (va beh…), ma non dover smanettare con chiavi esagonali varie ogni volta che si tratta di smontare una ruota o regolare l’altezza del cannotto è una bella comodità.
Solida e fluida nella cambiata, se il peso non è una priorità ci sarebbero davvero pochi motivi per sostituire la doppia Race Face Respond. A voler fare i pignoli qualche mm in più sul diametro del bash non guasterebbero, dato che è quasi a filo con la catena.
Sull’affidabilità delle trasmissioni Shimano c’è poco da discutere, poco importa se i comandi sono “solamente” degli SLX. Anche grazie al passaggio cavi ben realizzato, la cambiata è sempre stata fluida e precisa. Avremmo però fatto volentieri a meno degli indicatori, che oltre ad essere abbastanza inutili rubano spazio sulla piega. Con il tempo la catena ha cominciato a cadere più facilmente sul 24. Per onor di cronaca va detto che non abbiamo ancora ritensionato la frizione del cambio, ma per un utilizzo race sarebbe comunque opportuno montare un tendicatena ed un cambio a gabbia media. Meglio ancora, se si è disposti a spendere qualche soldo in più e perdere un po’ di polivalenza, una trasmissione monocorona.
I Formula T1 ci hanno soddisfatti dal punto di vista prestazionale, sia per quanto riguarda la potenza e resistenza a fatica che la modulabilità. Nelle situazioni di maggiore stress la corsa della leva del posteriore diventa talvolta un po’ irregolare. La mancanza del registro per la regolazione del punto di contatto non si fa sentire più di tanto.
Le ruote DT Swiss EX 1501 Spline One tubeless ready sono l’upgrade più significativo da noi richiesto rispetto al montaggio standard. La scelta si è rivelata azzeccata, dato che non abbiamo mai avuto il minimo poblema, i raggi sono ancora perfettamente tensionati e stanno mantenendo bene la centratura. L’abbiamo scritto nell’articolo di presentazione e lo ripetiamo ora: si tratta di un upgrade che vale tutti i 300 Euro che costa!
Le coperture Hans Dampf hanno confermato quello che in fondo già sapevamo: la posteriore con mescola PaceStar – ormai alla frutta sulla bici in test – è un buon compromesso fra tenuta e scorrevolezza. L’anteriore, nonostante la più morbida mescola TrailStar, non è male sui fondi compatti ed asciutti. Su quelli allentati richiede invece un po’ di attenzione, soprattutto in piega.
Sempre piacevole la sensazione di controllo data da una piega da 785 mm di larghezza, che con le manopole Ergon diventano ben 800 mm effettivi!
Lo stem originale da 50 mm/0° rise è stato sostituito con il Gravity che vedete in foto per distribuire in modo leggermente diverso i pesi. Ne riparleremo al capitolo discesa…Fra le tante personalizzazioni previste da Rose c’è comunque la possibilità di avere il cannotto della forcella tagliato più lungo, nel caso in cui desideriate un maggior range di regolazione giocando semplicemente con il posizionamento degli spacer.
Promosse anche le manopole Ergon, con il collarino finalmente spostato sul lato interno e comode anche a chi le impugna abbastanza esternamente.
Le geometrie dichiarate sono moderne ma senza le esasperazioni in chiave discesistica che recentemente hanno interessato alcuni modelli da enduro. Niente interassi esagerati o angoli sterzo da quasi-DH, ma piuttosto la ricerca del giusto compromesso in grado di garantire una buona stabilità sul veloce senza penalizzare eccessivamente la maneggevolezza. Da rimarcare però che un paio di valori da noi rilevati non corrispondono con quelli dichiarati da Rose, spostando di fatto, se pur leggermente, l’ago della bilancia verso il lato discesa. Abbiamo infatti misurato un’altezza del movimento centrale di 345 mm (353 mm dichiarati) ed una quota di chainstay di 434 mm invece di 431 mm. Quest’ultima quota si riperquote poi sul passo, anch’esso circa 4 mm più lungo del valore dichiarato.
Le regolazioni di routine non hanno riservato sorprese, così come è stato facile trovare il corretto posizionamento dei comandi sul manubrio nonostante i collarini dei comandi cambio e dei freni non siano integrati.
Bene anche la posizione in sella, né troppo distesa né troppo raccolta in rapporto alla taglia.
La sospensione posteriore richiede un po’ di attenzione per quanto concerne il settaggio del sag, con il quale non conviene scendere sotto il 30% (valore rilevato sedendosi con la sella ad altezza della piega, quindi attorno al 25% stando in piedi sui pedali). Al di sotto di questo valore la sospensione tende a murare a circa 2/3 della corsa per via della marcata progressività, con il risultato che il retrotreno diventa nervoso e l’escursione difficilmente sfruttabile nella sua interezza. Rider particolarmente veloci ed aggressivi potrebbero apprezzare questo comportamento, ma si tratta di un settaggio sconsigliabile ai più. Purtroppo il Monarch viene montatao privo di token, per cui è impossibile aumentare il volume della camera dell’aria per ridurne la progressività (cosa invece fattibile con il Fox Float, che sulla UJ 3 viene montato con riduttore di volume da sei unità).
Meno delicato è il settaggio della Pike, nella quale abbiamo caricato un po’ più aria rispetto a quanto suggerito dalle tabelle di Rock Shox. La “plushness” della prima parte di corsa permette di farlo senza compromettere più di tanto la sensibilità sulle piccole asperità, guadagnando al contempo sul fronte della resistenza al finecorsa e del sostegno sul ripido (ricordiamo che nella versione Dual Position non possono essere aggiunti token per incrementare la progressività).
Grazie all’angolo sella di 75° ed all’appoggio mani piuttosto basso, posizione di pedalata e distribuzione dei pesi non risentono negativamente dell’abbondante sag. La necessità di abbassare la forcella si sente solamente sulle pendenze più forti, e le levette per il passaggio in posizione climb di ammortizzatore e forcella sono di comodo accesso e veloci da azionare. Mentre la frenatura della forcella è particolarmente efficace, quella del Monarch è però un po’ blanda. Fortunatamente il carro della UJ è abbastanza stabile di suo, per cui il bobbing resta comunque molto contenuto. Anche grazie ad un peso più che accettabile, alla discreta scorrevolezza delle Hans Dampf ed alla doppia 24/36, la UJ è in definitiva una buona passista che non manda in crisi mistica quando la discesa è da conquistarsi con una lunga pedalata.
L’agilità nelle sezioni tortuose è buona e l’avantreno mantiene bene la direzionalità anche grazie alla possibilità di abbassare la forcella. Nel superamento delle asperità più grosse emergono invece i limiti legati all’abbondante sag, ad una leggera tendenza della sospensione a sedersi (più che altro dovuta al sag abbondante) ed al movimento centrale piuttosto basso. Se il jolly forcella bassa può essere giocato per eliminare i primi due inconvenienti, il rovescio della medaglia è che la luce da terra ulteriormente ridotta rende i contatti dei pedali con il terreno ancora più frequenti. Rispetto alla versione 2014 con ruote da 26” il comportamento è oggettivamente migliorato, ma il tecnico resta l’ambito dove in salita la UJ richiede il maggiore impegno.
Piega larga, stem relativamente corto e movimento centrale basso concorrono nel trasmettere una piacevole sensazione di controllo e stabilità. Più di quanto gli altri dati geometrici, come visto non esasperati, farebbero supporre.
La sospensione posteriore ha un’ottima sensibilità nella prima parte della corsa. Forse persino troppa, nel senso che il Monarch in posizione aperta sembra molto poco frenato in compressione. Questo non è un gran problema sul ripido, situazione nella quale il posteriore è poco caricato e può quindi lavorare in modo ottimale sfruttando la grande sensibilità che ne consegue. Nei tratti poco pendenti la sospensione tende invece a lavorare a ridosso della seconda parte di corsa, la quale diventa però presto marcatamente progressiva. Per i più tranquilli questo si traduce in un sospensione che tende a lavorare nella sola parte centrale e quindi piuttosto nervosa. I rider più veloci e dinamici, al contrario, scaricando e caricando la sospensione con maggior decisione avranno meno difficoltà ad utilizzare il travel nella sua interezza e potrebbero addirittura apprezzare questo tipo di comportamento. Ottima la resistenza al finecorsa, con una manciata di mm finali da giocarsi nelle situazioni “di emergenza” o per affrontare eventuali drop senza porsi troppi problemi. Abbiamo particolarmente apprezzato la possibilità di tenere ben aperto il ritorno di entrambe le sospensioni senza che diventino ingestibili sui grossi impatti. Merito del concetto Rapid Recovery o semplicemente di una buona idraulica? Difficile dirlo, ciò che conta è che la reattività del mezzo viene ulteriormente enfatizzata quando si “pompa” per alleggerire nel superamento degli ostacoli.
Se quanto detto fino ad ora potrebbe far pensare ad un mezzo spiccatamente corsaiolo, che per essere sfruttato a dovere richiede andature sostenute, nel guidato si apprezza invece la facilità e rapidità con cui la bici si destreggia nelle curve in sequenza ravvicinata. A differenza di alcune enduro dell’ultima generazione, la UJ è infatti molto intuitiva e non richiede una guida particolarmente aggressiva e caricata sull’anteriore, risultando da questo punto di vista persino più facile e reattiva del precedente modello con ruote da 26”. Oltre ai dati geometrici analizzati ad inizio articolo ed alla reattività delle sospensioni, gioca a favore in tal senso la distribuzione del peso ben avanzata determinata dallo stem con rise zero e dalla larga piega Race Face con solo mezzo pollice di rialzo. Il rovescio della medaglia è che per alzare la ruota anteriore serve decisione, il che potrebbe non piacere a chi cerca un mezzo dall’indole “giocosa” o non ama una posizione di guida aggressiva. Se si è disposti a pagare qualcosina sulle salite ripide, basta tuttavia rivedere l’altezza degli appoggi anteriori per ottenere una distribuzione dei pesi più neutra. Personalmente ho trovato il giusto compromesso con uno stem da 45 mm / + 6° e due spacer da 5 mm posizionati sotto lo stem stesso.
Sui rilanci, posta la debita attenzione nel caso di fondi sconnessi per via dell’altezza contenuta del movimento centrale, grazie alla progressività della sospensione la bici risponde piuttosto bene. Purtroppo Rock Shox non prevede per i propri ammortizzatori la possibilità di montare il comando remoto del registro della compressione, per cui è necessario staccare un attimo la mano destra dal manubrio per accedere alla levetta. In ambito race questo è effettivamente un piccolo handicap, risolvibile solamente montando il Fox Float al posto del Monarch. Sarà poi necessario l’invio a Fox ed una spesa supplementare, comportando il montaggio del remoto anche una piccola modifica all’ammo.
Geometrie e montaggio non fanno della UJ2 una bici focalizzata in ottica race, ma piuttosto una enduro polivalente che se la deve cavare anche sui più difficoltosi trail alpini. Su questi terreni la UJ si è trovata particolarmente a suo agio, dando confidenza nel superamento dei tratti più ripidi ed ostici senza però risultare troppo ingombrante in quelli particolarmente tortuosi, dove si fa apprezzare anche la contenuta quota di standover. Molto buono anche il comportamento della Pike, ben controllata in compressione grazie all’efficace registro a 15 posizioni e quindi in grado di dare un buon sostegno sulle pendenze più estreme e nel superamento di gradoni a bassa velocità.
Dal punto di vista della funzionalità ed affidabilità la bici non ha dato il minimo problema in quasi due mesi di utilizzo, durante i quali l’unico intervento richiesto è stato una regolata al cambio (di poco conto pure quella). Non si tratta di un periodo sufficientemente lungo per un giudizio definitivo da questo punto di vista, ma sicuramente denota un’ottima cura nel montaggio, aspetto non trascurabile considerando che si tratta di un prodotto acquistabile solamente online e che quindi non può contare sull’assistenza comoda ed immediata del venditore per eventuali regolazioni post-vendita.
Per caratteristiche e montaggio la UJ 2 è una enduro polivalente, utilizzabile in ambito race con qualche piccola modifica alla trasmissione, ma anche per giri in montagna dove si desidera un mezzo discesisticamente più performante di una all mountain o una trailbike. Geometricamente ben equilibrata ed agile, sarà particolarmente apprezzata da chi ha una guida attiva e veloce e dagli amanti delle discese molto tecniche. I biker più tranquilli e passivi, o in generale chi ama una risposta molto “plush”, potrebbero trovare la sospensione posteriore gestita dal Monarch un po’ troppo nervosa.
Prezzo Uncle Jimbo 2: 2459 Euro
Prezzo Uncle Jimbo 2 in test: 2797 Euro
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