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Prodotta sia in versione con ruote da 29” che da 27.5”, la Remedy è la proposta di Trek nel segmento trailbike. Trailbike secondo la concezione americana del termine, dato che i 140 mm di travel anteriori e posteriori, montaggio e geometrie la collocano più vicina al segmento in Europa definito all mountain. In Italia è importata la sola versione con ruote da 27.5”, da noi testata nell’allestimento top di gamma identificato dalla sigla 9.8.
Il materiale utilizzato nella realizzazione del telaio è principalmente il carbonio di casa Trek, chiamato OCLV Mountain Carbon. Fanno eccezione i foderi inferiori del carro, in alluminio Alpha Platinum, e la massiccia biella di azionamento dell’ammortizzatore EVO Link, la quale è invece in magnesio “monoblocco”. La lavorazione del carbonio OCLV avviene attraverso più di 50 processi produttivi proprietari ed il prodotto finale è differenziato in base al tipo di impiego a cui è destinato. Forse ancora più importante, sono oltre 21 i test ai quali ogni telaio viene sottoposto prima di essere “approvato”. Alcuni di questi prevedono la simulazione di urti sulle rocce nei punti potenzialmente più critici.
Il telaio della Remedy è all’apparenza quasi piccolo in rapporto alla taglia reale. L’effetto estetico è in parte dovuto al generoso dimensionamento dei tubi, anche se di fatto il corto seat tube determina un triangolo principale compatto ed una quota di standover contenuta. Più che di un telaio piccolo è quindi corretto parlare di un telaio “basso”, caratteristica favorevole sia dal punto di vista della rigidità che della maneggevolezza della bici fra le gambe.
La biella di rinvio in magnesio in un unico pezzo concorre nel creare un insieme estremamente rigido ed un carro dalle flessioni laterali contenutissime.
Il telaio è curato sia dal punto di vista estetico che funzionale, con una particolare attenzione per quanto concerne le protezioni. Oltre al consueto batticatena presente anche sul lato inferiore del fodero, troviamo una pellicola trasparente sul lato superiore del top tube e protezioni in materiale gommoso sull’obliquo e sui foderi superiori del carro. Soluzione quest’ultima non comune ma utile, trattandosi di un punto fra i più esposti in caso di caduta.
Le fascette utilizzate per il fissaggio dei cavi non sono esteticamente il massimo, ma la funzionalità è indiscussa. Il passaggio dei cavi, interno al telaio ad eccezione di quello del freno, è realizzato molto bene e tutti i comandi lavorano fluidamente.
Già da anni Trek adotta su alcuni dei propri telai il Mino Link, un dispositivo che permette di ottenere due diversi assetti geometrici denominati high e low. Nel primo gli angoli sono più verticali e l’altezza da terra del movimento centrale è maggiore. In assetto low gli angoli si distendono di mezzo grado ed il movimento centrale scende di circa 10 mm. La variazione si ottiene tramite una piastrina dotata di un foro decentrato che permette di variare il punto di collegamento dei foderi superiori del carro all’EVO link. Lo spostamento da una posizione all’altra è semplice e fattibile anche sul campo: mediante una chiave esagonale vanno rimosse le due piastrine (una per lato), ruotate di 180° e serrate nella nuova posizione.
Con il il Mino Link in posizione low troviamo valori geometrici moderni, ma che non sposano la tendenza verso geometrie sempre più lunghe e distese che sembra ormai attecchire anche nel segmento trail. Ci riferiamo in particolare all’angolo sterzo, che dai 67.5° della configurazione low sale agli oltre 68° della configurazione high per un’altezza da terra del movimento centrale di circa 350 mm. In configurazione high si ha quindi un assetto particolarmente indicato per le salite più ripide e tecniche ma che, come vedremo, poco si sposa con le potenzialità discesistiche dell’insieme telaio-sospensioni.
Negli ultimi anni l’altezza dei tubi sterzo si è andata via via accorciando. Se sulle 29er questo ha un senso, su telai per ruote da 27.5” si è persino andati oltre il necessario. La Remedy in test ci è stata consegnata con due spacer da 10 mm posizionati sotto lo stem e, anche per via del rise contenuto della piega, dopo un paio di uscite ci siamo convinti che quello era effettivamente l’assetto ideale. Come vedremo la scarsa rigidità dell’avantreno è l’ultimo dei problemi di questa bici, ma rimane il fatto che tubi sterzo più alti significano maggiore rigidità.
Per la sospensione posteriore Trek adotta il proprio schema proprietario denominato ABP, concettualmente un monocross con la caratteristica di avere il pivot posteriore coincidente con l’asse della ruota. A detta di Trek questo accorgimento permette di mantenere le doti di sensibilità tipiche dei monocross eliminando al contempo l’irrigidimento della sospensione in fase di frenata, caratteristica negativa spesso imputata a questo schema. Il perno passante Maxle è molto comodo, ma il quick release sporge in modo vistoso a causa della convivenza con il punto di infulcro della sospensione ABP. Un perno passante avvitato avrebbe un ingombro inferiore e sarebbe meno esposto agli urti.
L’ancoraggio inferiore dell’ammo di tipo flottante – sostanzialmente sul prolungamento dei foderi inferiori del carro oltre il main pivot – dovrebbe invece permettere maggiore libertà nella gestione della curva di compressione.
Al pari di quanto accaduto con le forcelle, anche sugli ammortizzatori Trek ha abbandonato il sistema DRCV a doppia camera. Supponiamo grazie alla tecnologia EVOL adottata dai nuovi Fox, la quale permette un maggiore controllo della curva di compressione. Confermata invece l’idraulica RE:aktiv, sviluppata in collaborazione con i maghi delle sospensioni di Penske Racing. Il Float montato sulla 9.8 ha un interasse di 197 mm per 57 mm di corsa, quindi lavora con un rapporto di compressione di circa 2.4 Per quanto riguarda il controllo della compressione troviamo le consuete tre posizioni, che però perdono la denominazione Climb-Trail-Descend ed ora si chiamano Firm-Medium-Open.
La massiccia forcella Fox Float 36 da 140 mm di travel svolge bene il suo lavoro ed è molto rigida. Abbiamo però trovato la risposta elastica fin troppo lineare, il che ci ha costretti ad un setting piuttosto duro per evitare facili finecorsa ed avere il necessario sostegno sul ripido. La 9.8 avrebbe meritato la versione Factory, molto più personalizzabile in termini di controllo idraulico della compressione. La posizione intermedia fra le tre disponibili (anche sulle forcelle si è passati alla denominazione Firm-Medium-Open) offre comunque una frenatura sfruttabile nelle situazioni discesistiche estremamente ripide e tecniche, oltre che sulle salite sconnesse.
La 9.8 si affida al gruppo Shimano XT al completo per quanto riguarda freni e trasmissione, quest’ultima composta da una doppia 36/26 abbinata ad un pacco pignoni 11V/11-40. Le ruote sono le DT Swiss E1900 Spline, mentre per quanto riguarda coperture, stem, piega e sella troviamo componentistica Bontrager, marchio di proprietà Trek. Completa il quadro il reggisella telescopico Reverb da 125 mm di abbassamento. Se sul fronte della solidità e dell’affidabilità non si possono muovere critiche, in termini di peso si poteva fare di meglio. Alla prova della bilancia abbiamo infatti rilevato quasi 13 kg per la bici priva di pedali, un peso tutt’altro che impossibile da gestire, ma non all’altezza di una top di gamma di questo livello. Una guarnitura singola ed un set ruote più leggero avrebbero permesso un discreto risparmio, nel secondo caso togliendo i grammi da dove più si fanno sentire.
La convivenza fra comandi cambio Shimano e Reverb non è sempre semplice. In questo caso men che meno, visto che il collarino di fissaggio del comando deragliatore costringe a posizionare il pulsante del Reverb troppo lontano e praticamente impossibile da azionare senza spostare la mano lungo la manopola. In condizioni di riding tranquille il problema è relativo, ma nelle fasi più concitate non è il top della comodità e della sicurezza. Sempre a proposito del Reverb, strana la decisione di montare la versione da 125 mm di travel su una taglia L con un seat tube così corto. La versione da 150 mm sarebbe stata più indicata.
La piega è una bella Bontrager Rhythm Pro in carbonio da 15 mm di rise e 750 mm di larghezza, una misura adeguata alla tipologia di bici. Della stessa serie lo stem da 60 mm di lunghezza e zero rise.
Il montaggio della Remedy 9.8 è in generale adeguato alle caratteristiche del mezzo. Fa eccezione la copertura Bontrager XR3 montata al posteriore, scorrevole in salita e soddisfacente in discesa sui fondi asciutti e compatti, ma presto in crisi su quelli allentati o bagnati. La XR4 montata all’anteriore svolge invece onestamente il proprio lavoro, pur non entusiasmando. Entrambe le coperture sono Tubeless Ready ed erano montate senza camera. Una pizzicata ha però compromesso la tenuta della XR4 costringendoci a montare la camera d’aria. La stessa sorte è poi toccata alla copertura posteriore, fortunatamente all’ultima uscita prima di riconsegnare la bici. Considerato che in entrambi i casi stavamo utilizzando pressioni tutt’altro che basse, ci è rimasto più di un dubbio sulla solidità di queste coperture. A non lasciare dubbi sul fronte della solidità sono invece le ruote DT Swiss E1900 Spline, le cui caratteristiche di rigidità ben si sposano con quelle del telaio e della massiccia Fox 36. Il peso di oltre 1900 g dichiarato per il set non è però un valore esaltante, considerata la tipologia e fascia di prezzo della bici.
L’ampio range di rapporti ottenibile con la guarnitura doppia soddisfa tutte le esigenze, comprese quelle dei meno allenati. Con la singola si sarebbe però risparmiato del peso ed evitati i problemi di posizionamento del comando del Reverb. La trasmissione nipponica ha confermato le note doti funzionalità, sia in termini di fluidità e precisione di funzionamento che di resistenza alla caduta della catena. Per chi da quest’ultimo punto di vista volesse la sicurezza assoluta, la presenza dell’attacco ISCG permette di montare facilmente un tendicatena.
I freni Shimano XT ormai non sono più una sorpresa: potenti quel che serve, molto modulabili ed affidabili. Durante il test abbiamo tuttavia riscontrato una certa irregolarità nella corsa della leva dell’anteriore. La 9.8 monta dischi da 180 mm sia davanti che dietro, scelta adeguata per la tipologia di bici.
Partiamo subito con quel che non va: se quel che cercate è un carro molto stabile sotto l’influsso della pedalata, dal bobbing contenuto anche senza l’ausilio dell’idraulica dell’ammo, con la Remedy la delusione è inevitabile. Come già riscontrato in passato, il sistema ABP è infatti tutt’altro che brillante da questo punto di vista, e con il Float in posizione Open si dondola inesorabilmente. Passando alla posizione Firm la bici si lascia invece ben pedalare, e solamente “pestando” sui pedali in fuorisella il bobbing torna ad essere fastidioso. La posizione in sella è abbastanza raccolta ma tutto sommato comoda e, come deve essere su una bici di questo tipo, la distribuzione dei pesi neutra. Aiutati dalla scorrevolezza della copertura posteriore e dalla forcella praticamente bloccabile, sullo scorrevole si sale quindi ben spediti. L’insaccamento della sospensione posteriore sul ripido non è eccessivo, quindi l’anteriore mantiene una buona direzionalità senza costringere a troppi contorsionismi. Solamente sulle pendenze al limite della pedalabilità è necessario portarsi con decisione in punta di sella, fermo restando che stiamo parlando del settaggio low, quindi quello meno performante in salita. Se vi domandate per quale motivo non abbiamo quasi mai utilizzato il settaggio high la risposta è semplice: in posizione low la bici ci è parsa più equilibrata e più che soddisfacente anche sulle salite impegnative. Neppure sul tecnico, a meno di non andarsi ad infilare in situazioni particolarmente ripide, abbiamo mai sentito la reale necessità di cambiare assetto. Il comportamento resta molto buono anche nel tortuoso e l’altezza da terra del movimento centrale sufficiente per superare gli ostacoli senza che i pedali tocchino il suolo. Tutto ciò a patto di mantenere il registro del Float sulla posizione firm, quindi contenendo l’affondamento della sospensione la quale rimane comunque sorprendentemente sensibile. Ciò detto, nulla impedisce di agire sul Mino Link in caso di salite particolarmente lunghe ed impegnative.
Quel che subito colpisce in discesa è la precisione e reattività dell’avantreno dati dalla Fox 36 e dalle ruote DT Swiss, entrambi molto rigidi rispetto a quel che spesso si trova su bici di questa categoria. Il telaio non è da meno, e la Remedy è a suo agio anche nelle sezioni molto sconnesse, tipica situazione in cui molte trailbikes mostrano i loro limiti.
La sospensione posteriore, dal canto suo, lavora alla grande: molto sensibile, discretamente sostenuta nella parte intermedia di travel e con una progressività finale in grado di gestire anche impatti molto violenti. Proprio questa marcata progressività negli ultimi mm consente valori di SAG abbondanti per la tipologia di bici, ottenendo un comfort ed una stabilità del retrotreno sorprendenti in rapporto all’escursione disponibile. Il rovescio della medaglia è una leggera perdita di reattività e la maggiore decisione necessaria per sollevare le ruote da terra, prezzo più che accettabile considerate le doti di assorbimento che non sfigurerebbero in una comparativa fra modelli da enduro. Il Fox Float con idraulica RE:aktiv lavora molto bene e probabilmente gioca la sua parte in tutta questa bontà, ma non ci sarebbe dispiaciuto un range di regolazione del ritorno leggermente più spostato sul veloce. Girando con temperature attorno allo zero su fondi veloci e moderatamente sconnessi, ci siamo infatti ritrovati con il registro prossimo al tutto aperto, mentre neppure con temperature più elevate su fondi che richiedono una maggiore frenatura ci siamo mai avvicinati alle posizioni più chiuse.
Se sullo sconnesso la Remedy incassa senza battere ciglio, non per questo nel guidato è meno efficace. La grande rigidità dell’anteriore e del telaio permettono infatti di indirizzare l’avantreno con grande precisione e, anche grazie all’angolo sterzo non troppo disteso, i cambi di traiettoria sono fulminei. Nel tecnico trialistico si fanno apprezzare l’agilità e la sensibilità ai trasferimenti di carico, quindi la facilità con cui si riesce a scaricare dal peso la ruota anteriore e ad alzare la posteriore per superare i tornantini più angusti. La rigidità della 36 permette una precisione millimetrica, ma nel superamento dei gradoni più alti conviene impostare il registro della compressione sulla posizione intermedia, oltre che evitare un setting troppo morbido. Dove invece la Remedy non brilla particolarmente è in fase di rilancio, vista la tendenza della sospensione posteriore ad assorbire parte dell’energia impressa ai pedali. Un comando remoto del registro del Float ed una posizione più felice del comando del Reverb, magari rinunciando alla doppia e relativo comando, renderebbero la Remedy più performante anche quando c’è da spingere sui pedali.
Rilanci a parte tutto perfetto? La risposta è affermativa se si pensa alla Remedy come ad una trailbike pura, ma la 9.8 ha le potenzialità per fare di più. Geometrie un po’ più distese permetterebbero di fruttare meglio il potenziale delle sospensioni e la rigidità del telaio, spostando ancor più in alto i limiti in termini di stabilità sullo sconnesso e la sicurezza sul ripido e tecnico. Entrambi gli assetti del Mino Link sposerebbero inoltre le caratteristiche del mezzo, a differenza di quanto avviene ora con il settaggio high.
I punti di forza della Remedy 9.8 stanno nella rigidità del massiccio telaio e nelle prestazioni discesistiche del reparto sospensioni, in particolare quella posteriore. Rispetto ad altre concorrenti di pari segmento si paga qualcosa sul fronte della risposta alla pedalata, in parte a causa del montaggio funzionale ed affidabile ma non particolarmente leggero.
Bici completa tg. 19.5: 12.890 g
Ruota anteriore completa con camera d’aria: 2062 g
Ruota posteriore completa montata tubeless con liquido sigillante: 2465 g
Prezzo: 5649 Euro
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