Oggi il telaio della Yeti SB 5.5 è ripartito in direzione DSB Bonandrini, dopo un anno di uso intenso con tante prove di componentistica diversa. Inutile negarlo, è una delle mie bici preferite di sempre e con cui mi sono trovato meglio. Con 140mm di escursione posteriore e 160mm all’anteriore è un ottimo compromesso per poter salire ovunque bene e scendere ancora meglio. Le ruote da 29 si prendono cura di grip e trazione, mentre il sistema Switch Infinity lavora sensibile e piuttosto neutrale in pedalata.
Trattandosi di una bici uscita due anni fa, le geometrie non sono quelle ultramoderne uscite nell’ultimo anno su tante MTB da 29 con escursione simile (vedere la stessa SB 150), ma sono comunque ben studiate per una posizione in sella centrale e redditizia in salita. Il carro è piuttosto lineare, caratteristica che ben si sposa con un utilizzo all mountain per cui questa bici è stata pensata, in modo da usare tutta l’escursione non solo quando si fanno dei drop. Non la definirei infatti un’enduro, anche se il limite fra le due categorie è molto sottile, ma un mezzo tuttofare. Proprio per questo motivo ho sentito la mancanza di un portaborraccia, visto che la parte alta dell’obliquo è occupata dall’ammortizzatore. Non prendo neanche in considerazione i due buchi posti sotto l’obliquo, perché questa è una posizione estremamente infelice per una borraccia a causa dello sporco alzato dalla ruota anteriore. L’unica è girare con una sacca idrica o muoversi in zone con tante fontane.
Alle tante domande che mi sono arrivate sulla tenuta del sistema Switch Infinity posso ora rispondere che, a parte il normale lavaggio con acqua e detergente, non vi ho mai fatto alcuna manutenzione e funziona ancora perfettamente. In fondo si tratta di due pistoncini con rivestimento Kashima, senza alcuna idraulica. Idem per i vari cuscinetti, mai sostituiti. Il telaio non scricchiola e non ha preso gioco.
Il passaggio cavi interno non è guidato, ma soprattutto i gommini sono molto stretti quando si fanno passare i tubi dei freni ed è difficile rimetterli in sede. Questo è un problema comune a diversi marchi, mi viene in mente Santa Cruz, ad esempio, e che Yeti ha risolto con le nuove SB presentate nel 2018, grazie ad una guida interna che tiene i cavi al loro posto. Sulla SB 5.5 i cavi sbatacchiano e fanno rumore internamente al telaio. Questa, insieme alla mancanza di un portaborraccia, sono le due uniche pecche del telaio SB 5.5.
Per il resto la verniciatura si è rivelata essere molto solida e resistente. Le sassate non sono mancate, ma le scalfitture sono poche e si trovano quasi tutte sul carro posteriore, soprattutto nella zona bassa. I sassolini alzati dalla ruota posteriore vanno a colpire anche la zona del movimento centrale, qui vale la pena mettere una pellicola protettiva.
Ho messo la pellicola AMS sotto il tubo obliquo e sui foderi posteriori, ed ha fatto il suo lavoro, più che altro per salvaguardare l’estetica. Il grosso dei colpi è stato “parato” dalla protezione in gomma. A proposito di foderi, malgrado il boost e le scarpe relativamente ingombranti Afton Vectal, non li toccavo.
Il domandone che mi aspetto è se questo telaio vale 4.000 Euro. Posso solo rispondere che è ben fatto e ben curato nei particolari ed ha resistito alla prova del tempo. Considerate che faccio circa 200.000 metri di dislivello e 8.000 km all’anno in MTB, e che non scendo mai su asfalto o sterratoni facili. Insomma, è un utilizzo piuttosto intenso che difficilmente una persona con un lavoro dal lunedì al venerdì riuscirà a fare nello stesso arco di tempo. Il prezzo è anche questione di marchio e di quanto valore si dia ad un oggetto, e di sicuro Yeti ha lavorato molto per diventare uno dei brand più desiderati e costosi sul mercato.
Le premesse tecniche per una bici robusta, ben progettata e che vi faccia divertire ci sono tutte. La decisione di quanto volete spendere per una mountain bike, alla fine, spetta a voi.
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