Transition è una casa statunitense con sede nella cittadina di Ferndale, nello stato di Washington. Marchio già noto da tempo fra gli appassionati delle discipline gravity che frequentano mtb-forum, grazie ai successi di Andrea Bruno nel circuito Superenduro ha ultimamente guadagnato una certa notorietà anche fra i praticanti del cosiddetto all mountain e soprattutto fra gli enduristi. Il forte corridore cuneese non si limita però a correre e vincere in sella ad una Covert come quella di cui ci occupiamo in questo test, ma cura anche la distribuzione del marchio in Italia grazie a Tribe Distribution di cui è co-titolare.
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I 150 mm di travel posteriore, abbinati ad una forcella da 160 mm e a delle geometrie ben bilanciate, rendono la Covert un mezzo molto interessante per chi ama non solo spingere in discesa, ma anche guadagnarsi il dislivello con le proprie forze.
Complice il periodo dell’anno e quindi la chiusura degli impianti di risalita, abbiamo perciò chiesto un montaggio che non compromettesse la pedalabilità di questa enduro che sulla carta promette grande polivalenza.
La richiesta ha un perfetto senso anche dal punto di vista del test dato che, oltre ai montaggi offerti dalla casa madre ed a due kit “standard”, Tribe offre la possibilità di montaggi personalizzati grazie alla collaborazione con Marzocchi, Kenda, Fulcrum, Gravity, Protone e SRAM. Si tratta di un’opzione in genere molto apprezzata dai bikers più “evoluti” e che a maggior ragione lo sarà in questo caso, visto che si può contare sulla consulenza diretta di un rider di alto livello . Per quanto riguarda i kit standard, li trovate al capitolo “links utili” a fine test.
Prima di passare all’analisi del montaggio e statica, una nota sul fatto che la versione da noi provata era un 2010: avendo completamente rivisitato la Covert proprio l’anno scorso, la versione 2011 è praticamente identica. Cambiano solamente i colori, che dal bianco o rosso del 2010 diventeranno raw, nero con grafiche bianche o orange con grafiche nere nel 2011. Per lo stesso motivo non dovete preoccuparvi se le specifiche riportate sul sito Transition o Tribe fanno riferimento al modello 2010 (così era al momento della stesura di queste righe), essendo in tutto e per tutto valide anche per l’anno in corso.
Nel video: Zergio all’inseguimento di Marco Milivinti durante il test della Covert
Analisi statica e prime sensazioni
La sospensione di tipo monocross, il fissaggio della ruota posteriore affidato ad un classico QR, il passaggio cavi esterno (ad eccezione dell’ultimo tratto di quello del cambio) ed in generale la mancanza di soluzioni “ricercate” o strani amenicoli, potrebbero far pensare che ci si trovi di fronte ad un progetto “vecchio”.
Non è così, ed a testimoniarlo sono la presenza del tubo sterzo conico e del supporto ISCG 05. Evidentemente in Transition hanno fatto delle scelte ben precise, adottando solamente quelle soluzioni che secondo loro apportano dei tangibili vantaggi. Da parte nostra la cosa non ci preoccupa più di tanto, visto che spesso le soluzioni tradizionali realizzate con cura si dimostrano superiori a certe “ricercatezze” utili più agli uffici marketing che a chi sta in sella.
L’unica scelta che non ci convince è quella del QR posteriore, considerando che la maggior rigidità del perno passante sarebbe ottenibile con un incremento di peso praticamente nullo.
Tribe ci ha inviato una delle bici personali di Andrea Bruno, quindi montaggio improntato al massimo delle performance senza badare a compromessi (anche dal punto di vista economico, ovviamente). Performance che nel Superenduro si ottengono con dei mezzi che siano performanti in discesa ma che al contempo permettano di arrivare all’inizio delle prove speciali senza eccessivo dispendio di energie. Importante è anche l’efficacia nelle fasi pedalate che si trovano nelle ps stesse, dato che talvolta possono fare la differenza.
A fronte di queste premesse è ovvio intuire che per chi ha ambizioni di classifica le parole d’ordine sono “leggerezza ed affidabilità”, dato che una gara di SE si gioca su molti metri di dislivello distribuiti su più prove speciali.
Nel caso della Covert in test, tutto ciò è ottenuto con un montaggio che nelle sue parti fondamentali prevede un set ruote Fulcrum Red Zone XLR montato con Kenda Nevegal UST (2.35″ ant/2.1″ post), guarnitura Protone con doppia 22/36+bash e tendicatena Gamut, pacco pignoni Sunrace 11-36, reggi telescopico BLACX Jewel, piega da 760 mm abbinata a stem Gravity da 50 mm e freni Avid Elixir CR con dischi da 185/160 mm.
A livello di sospensioni troviamo invece una Marzocchi 55 RC3 Ti ed il sempre apprezzato Fox RP23 (che però ci darà qualche noia e che dovremo sostituire con un analogo, come leggerete in seguito).
Taglia compatta (per noi ma anche per chi di norma usa questa Covert), stem corto e piega larga oltre la norma (in rapporto al tipo di bici) lasciano ben pochi dubbi e parole da spendere su quale sia il feeling trasmesso da questa Covert una volta montati in sella: attaccare in discesa!
A proposito della taglia, una piccola curiosità: Transition stessa consiglia la M per riders fino a 185 cm (abbondanti) di statura, cosa decisamente anomala per una bici di questa tipologia e che evidenzia come la discesa sia nel DNA di questo brand.
Settata la sospensione posteriore con un SAG del 20-25% e riscontrato che la forcella è già precaricata come di nostro gradimento, possiamo dunque partire. L’utilizzo di coperture UST ci permette di utilizzare pressioni relativamente basse, cosa particolarmente apprezzata al posteriore vista la sezione contenuta del pneumatico (2.1″). Notare come anche questa scelta sia finalizzata al massimo della resa e dell’affidabilità con il minimo aggravio di peso.
Salita scorrevole
La bici bobba abbastanza marcatamente, e che un carro fermo in pedalata sia meglio di uno che bobba è pacifico. A patto che l’ammo sia dotato di piattaforma attivabile, si tratta però di un aspetto che su questo genere di bici non ci fa strappare i capelli. La levetta del propedal è infatti in posizione comoda, l’attivazione avviene in un lampo e l’intensità della piattaforma è regolabile su tre diversi livelli: problema risolto!
Da notare che il PP in posizione 3 ha un effetto appena sufficiente a stabilizzare il carro finchè si pedala seduti, mentre pedalando scompostamente o alzandosi sui pedali la sospensione tende ancora a muoversi. Su un mezzo da XC questo sarebbe un problema, mentre su bici di questa tipologia ciò permette di trovare la giusta frenatura in compressione nel momento in cui si abbandonano i fondi scorrevoli, dato che si hanno a disposizione tre livelli di frenatura tutti ben sfruttabili.
La piega da 760 mm, componente che potrebbe far rizzare i capelli in testa a qualche biker di derivazione xc, non ci ha dato particolari problemi. Sarà forse una questione di abitudine, ma spesso troviamo persino rilassante salire con le braccia ben aperte, per quanto una tal misura sia effettivamente al limite.
Salita tecnica
Cominciamo col dire che il ripido non disturba più di tanto la Covert nonostante la forcella non abbassabile. La sospensione posteriore infatti non si infossa, l’angolo sella è sufficientemente verticale e la larga piega dal rize contenuto aiuta a mantenere il peso ben caricato sull’anteriore, quindi basta spostarsi in punta di sella sulle rampe più ostiche ed il gioco è fatto. Poter salire con la forcella tutta estesa comporta inoltre il vantaggio di non abbassare l’altezza del movimento centrale, fatto abbastanza importante se si considera che sulla Covert non è particolarmente alto (con i vantaggi che ne derivano in discesa) e indiscutibile vantaggio in presenza di ostacoli di una certa entità.
I tre livelli di propedal correttamente spaziati permettono di trovare il miglior compromesso fra motricità e contenimento del bobbing, anche se come in tutti i compromessi un minimo si paga su un fronte o sull’altro. Noi, con il solito SAG del 20-25%, ci siamo trovati bene in posizione 2: buona motricità (anche grazie alle coperture), poco affondamento del carro e perciò ottima reattività e nessun fastidio dovuto a pedal kickback.
A tutto ciò si aggiunga la leggerezza generale e soprattutto delle ruote ed il piatto è servito: la Covert sul tecnico se la cava molto bene, permettendo di superare tratti dove altre enduro costringerebbero alla resa.
Discesa veloce/sconnessa
Anche in questo frangente la Covert si comporta meglio di quanto alcuni dati geometrici (angolo sterzo ed interasse) lascerebbero supporre. Merito sicuramente dell’ottimo controllo garantito dalla larga piega sia in curva che nei tratti più veloci e sconnessi, ma anche di come la sospensione posteriore sappia sfruttare appieno la pur non abbondante (per la categoria) escursione a disposizione. Con un SAG del 20-25%, il connubio fra la sospensione sostanzialmente lineare ed il Float High Volume permette infatti di utilizzare gran parte del travel anche senza staccare le ruote da terra, con il risultato che questa Transition tiene tranquillamente testa a mezzi che sulla carta si potrebbero supporre più performanti.
Approfittiamo di questo capitolo per una breve riflessione sulle coperture, in particolare la posteriore: come dicevamo la configurazione tubeless ci ha permesso di utilizzare pressioni leggermente inferiori a quelle abituali a tutto vantaggio di comfort e di aderenza. L’unico problema l’abbiamo avuto quando, presi dall’entusiasmo del “tanto è UST e non pizzico”, siamo entrati a tuono in una pietraia bozzando il cerchio posteriore (chiediamo venia ai ragazzi di Tribe). Alla Covert comunque non abbiamo risparmiato nulla, avendola portata spesso e volentieri su percorsi disseminati di rocce più o meno smosse. Nonostante la sezione di soli 2.1″ ed un peso dichiarato di poco superiore agli 800 g, a livello prestazionale non abbiamo mai avvertito la necessità di una copertura più grossa o “strutturata”.
Primo morale della favola: va bene che in configurazione tubeless non c’è una camera che si può pizzicare, ma specie se si monta un set ruote leggero meglio non dimenticare che i cerchi ci sono comunque. Secondo morale della favola: pensiamoci bene ogni volta che ci convinciamo di aver bisogno di chissà quali macigni come coperture…
Singletrack guidato
Molto bene anche qui, dove la leggerezza, il movimento centrale relativamente basso e l’interasse contenuto giocano a favore. La piega molto larga (abbiate pazienza se viene continuamente tirata in ballo, ma si tratta di un componente che veramente condiziona molto la guida) richiede un attimo di assuefazione e di decisione nelle curve più strette in veloce sequenza, ma ripaga ampiamente nei tratti di rilancio garantendo un controllo superiore anche quando si sta in fuorisella pedalando a tutta. In fase di rilancio il bobbing si fa sentire, accentuato dal fatto che di norma ci si trova a spingere rapporti abbastanza lunghi, ma se non ci si fa tentare da un setting troppo morbido (cosa che secondo noi sarebbe un errore su questa bici e con questo ammo) il fastidio è limitato.
Si diceva al capitolo discesa veloce/sconnessa come la Covert permetta di sfruttare facilmente il travel posteriore e come ciò aiuti a renderla molto performante in rapporto alla tutto sommato contenuta escursione. Il rovescio della medaglia è che sui drop il fondocorsa è facilmente in agguato, comunque mai troppo violento se non si esagera con il SAG e se non si pretende di spingere la Covert verso utilizzi per i quali esistono mezzi più indicati (anche in casa Transition). Transition dichiara espressamente che la linearità del carro si abbina perfettamente ad anmmortizzatori high volume come quello montato sulla bici in test, tuttavia sarebbe interessante provare la Covert con ammortizzatori “standard” o magari con un DHX. Se qualcuno ha avuto occasione di farlo ci dica le sue impressioni…
Discesa tecnica
Temevamo che la posizione aggressiva e caricata sull’anteriore sarebbe stata penalizzante sui percorsi in stile “vert”. In realtà basta abituarsi ad una maggior mobilità sul mezzo, costretti anche dalla larga piega (sì, sempre lei!) in particolare nei tornantini più stretti, ed il gioco è fatto. La Covert permette di farlo con facilità, dato che la sella può scendere totalmente nel già corto (per chi è della nostra statura) seat tube ed il valore di standover è contenuto.
Morale della favola: abbiamo portato la Covert su alcuni dei tracciati più ostici che affrontiamo abitualmente con piena soddisfazione.
Il passaggio cavi
Spendiamo qualche parola a parte per quanto riguarda il routing dei cavi in quanto unica nota stonata su una bici che c’è altrimenti parsa ben curata a livello di cura costruttiva. Sia la guaina del deragliatore che quella del cambio compiono infatti dei percorsi tortuosi, ma soprattutto con delle piegature abbastanza assurde.
Se per quanto riguarda il deragliatore il tutto si risolve con la scomodità di un comando duro da azionare, il cambio ci ha invece dato problemi anche a livello di precisione costringendoci a frequenti soste nel tentativo (spesso vano) di registrarlo alla meno peggio. Le basse temperature trovate durante tutto il periodo di test ed il fatto che cavi e guaine avessero già qualche mese di onorato lavoro sulle spalle non hanno sicuramente giovato, ma se fosse la nostra bici cercheremmo delle soluzioni alternative, anche a costo di dover posizionare qualche fascetta qua e là rinunciando ad utilizzare i passacavi predisposti sul telaio.
Conclusioni
La Covert si è comportata molto bene nella maggior parte delle situazioni nelle quali è stata provata. Sicuramente il montaggio di alto livello ha avuto la sua parte, ma progetto di base e realizzazione sono validi e dimostrano che il monocross può ancora dire la sua al pari di altri schemi e che non servono escursioni chilometriche per poter andare forte in discesa. Si tratta di un mezzo che consigliamo sicuramente per un utilizzo all mountain/enduro anche su terreni molto impegnativi, sia in salita che in discesa, mentre chi prevede frequenti passaggi in bikepark potrebbe non apprezzare la scarsa progressività della sospensione posteriore (dando per scontato che in bikepark ci si vada anche per saltare). Da rivedere il passaggio cavi, non all’altezza di questa bici.
Reggisella telescopico Blacx Jewel
Il test della Covert ci ha dato l’occasione di provare anche il reggi telescopico Blacx Jewel da 110 mm di escursione dotato di comando remoto. Non si tratta di un test vero e proprio dato che, come ben sanno i possessori dei vari telescopici in commercio, è l’affidabilità nel tempo l’aspetto più critico per questi componenti. Il reggi montato sulla Covert aveva comunque alle spalle già parecchio lavoro, stando a quanto ci ha detto Andrea Bruno di Tribe Distribution, che fra l’altro si occupa anche della distribuzione dei prodotti Blacx in Italia.
Cominciamo col dire che il Jewel si differenzia dagli altri telescopici in commercio nel tipo di funzionamento. Tre sono infatti le posizioni di lavoro: tutto giù, una posizione intermedia e tutto esteso. Oltre a non permettere posizionamenti diversi da quelli citati, il Jewel deve essere “caricato” perchè si sblocchi e risalga (in pratica ci si deve abbassare sino a caricarlo con il proprio peso), oltre che ovviamente richiedere l’azionamento del comando remoto. Per quanto la cosa non sia inizialmente immediata, dopo un po’ di tempo ci si abitua, ma rimane la scomodità di dover fare un movimento in più. Il lato positivo di questo sistema è che la posizione intermedia, su certe discese più utile della “tutto giù”, è ottenuta con facilità e soprattutto senza l’inconveniente di trovarsi la sella più in alto o più in basso di come si pensava di averla posizionata (cosa che accade facilmente con altri telescopici).
Il Jewel è totalmente meccanico e non presenta quindi le criticità legate ai sistemi idraulici, mentre il comando remoto ci è parso ben realizzato ma sull’esemplare in dotazione talvolta perdeva qualche colpo in quanto faticava e ritornare completamente. Probabilmente con un po’ di manutenzione si sarebbe ripristinata la perfetta funzionalità.
Meglio o peggio di un telescopico “classico”? Dipende: se non vi capita quasi mai di posizionare la sella ad una altezza intermedia pensiamo che il Jewel sia più scomodo per via del sistema di sblocco. In caso contrario l’efficacia del Jewel da questo punto di vista, e la mancanza delle complicazioni legate ad un sistema idraulico, potrebbero invece farvelo preferire.
Info dell’ultima ora
Tribe ci comunica che sarà a breve ufficializzata una promozione per coloro che acquisteranno un telaio Covert: una giornata di corso superenduro con Andrea Bruno, probabilmente in occasione di una gara del circuito. Un’occasione per provare i percorsi e scoprire alcune malizie utili.
Per maggiori e più dettagliate info contattate Tribe.
Problemi riscontrati nel corso del test
_L’ammortizzatore Fox Float RP23 montato in origine aveva dei problemi all’idraulica (propedal inefficace e controllo del ritorno malfunzionante). Tribe ci ha inviato un secondo ammortizzatore perfettamente funzionante.
_Il deragliatore era posizionato troppo in basso e toccava la catena quando questa era sul 22. Problema risolto riposizionandolo leggermente più in alto.
Quote geometriche rilevate e pesi (Kenda Nevegal 2.35″ ant / Nevegal 2.1″ post):
_interasse: 1140 mm
_angolo sterzo: 67°
_angolo sella: 73.5°
_altezza movimento centrale: 345 mm
_peso dichiarato telaio senza ammortizzatore: 3040 Kg
_peso ruota ant completa* (perno escluso): 2025 g
_peso ruota post completa* (perno escluso): 2267 g
*= con “ruota completa” intendiamo la ruota in ordine di marcia, quindi incluse coperture, dischi e pacco pignoni.
Links utili:
Tribe distribution: http://www.tribedistribution.com/
Transition su sito Tribe (listini etc.): http://www.tribedistribution.com/marchi/transition-bikes
Transition: http://transitionbikes.com/
Covert: http://transitionbikes.com/Bikes_Covert.cfm
Tour virtuale di Transition (per “sognare California”): http://www.transitionbikes.com/Company.cfm?rider=0
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Dalla pratica alla teoria, ovvero la Transition Covert analizzata da Zergio con il software Linkage
La geometria di questo sistema ammortizzante può esser definita come “4-bracci no-horst”. Come già scritto in precedenti test, la differenza con un classico carro 4 bracci con giunto horst è “solamente” nella posizione dello snodo in prossimità dei forcellini posteriori; nel nostro caso si trova sui foderi alti. Il sistema di sospensione è simile ad un sistema FSR (4 bracci horst) in termini di personalizzazione della curva di compressione dell’ammortizzatore (grazie alla presenza dello swing-link) ma risponde alle regole dei monopivot. Questo si traduce in una limitata area progettuale in termini di personalizzazione traiettoria ruota; nel caso della bici in esame è sempre un arco di circonferza. Inoltre l’assenza di uno snodo tra main pivot e asse ruota può dar vita al fenomeno di brake lock-out (inibizione del carro in frenata).
Non mi stancherò mai di scriverlo, i grafici qui riportati sono stati calcolati assumendo come unità ammortizzante una molla elastica.
Il grafico teorico delle forze ancora una volta incontra le sensazioni sul campo del carro posteriore: leggera progressività/linearità ad inizio corsa per poi cambiare andamento oltre i 100 mm di escursione alla ruota.
Come scritto nel test sul campo, tale andamento porta ad una buona risposta nei rilanci in discesa ma ad un fondo corsa poco sostenuto e quindi molto facile da raggiungere. Come specificato sopra questa è la risposta di una molla, un ammortizzatore ad aria limita questo fenomeno (in particolar modo utilizzando una sospensione con basso valore di volume della camera principale).
Il rapporto di compressione dell’ammortizzatore è mediamente alto.
Sensibilità limitata e stress sull’unità di sospensione.
Di seguito i due grafici di pedal kickback in due situazioni di rapporti differenti. Uno più adatto alla pianura (32/15) ed il secondo alla salita (22/34).
Entrambi abbastanza contenuti per una biammortizzata di 147 mm. Come nel test pratico, il pedal kick back non infastidisce la nostra pedalata su terreni sconnessi.
Il retro della medaglia (in particolare per un sistema 4 bracci no horst, e monopivot in generale) è un valore di ∆s positivo contenuto
ed un angolo traiettoria ruota relativamente basso.
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