Se l’altroieri abbiamo parlato di alcuni comportamenti che possono condurre ad un infortunio, oggi ci terrei a parlare della madre di tutte le conseguenze: la nostra testa. Mi capita infatti di percorrere lo stesso itinerario e di riuscire a superarne le difficoltà con più o meno slancio, e delle volte di scendere e spingere sullo stesso passaggio che il giorno prima avevo fatto con nonchalance.
La prima cosa che mi viene da dire, quando mugugnando tra me e me scendo a piedi con bici al fianco, è che ho sbagliato qualche set up: gomme troppo gonfie, forcella di legno, ecc ecc. O che è direttamente colpa della bici, visto che ieri ero in giro con la 29 e oggi con ‘sta 27.5 che si impunta ad ogni ghiaino. Ma, dentro di me, so benissimo che non c’è nessun fattore esterno a cui imputare la mia scarsa forma odierna. Me ne sono reso conto quando, in salita, mi sono fermato alla fontana con la scusa che volevo dell’acqua fresca, quando ieri ero tornato a casa con la borraccia praticamente piena con l’acqua che avevo messo alla partenza. Non è neanche questione di gambe che non girano o della stanchezza che mi viene dopo 3-4 uscite di seguito, quella che si vede dai battiti cardiaci che non salgono come quando si è freschi. La temperatura è fresca, ideale per fare dello sport, non posso quindi neanche dire che c’è la canicola.
È lei, la testa. Quella che in sella mi fa sentire un leone o una pecora. Se nella vita di tutti i giorni è facile mascherare la “giornata no”, quando si fa sport non ci sono facce da poker che tengano, soprattutto se si è in giro da soli. Già, perché se fossi in compagnia di un amico, ancor meglio di uno che vedo poco spesso e con cui dunque scatta la “gara segreta” a chi è più in forma, troverei la motivazione per sbloccare quella parte del cervello che oggi, da solo per i monti, mi frena facendomi pensare a 1.000 cose. Come farei a raggiungere il telefono che ho in tasca se mi fracasso la spalla. Chi sa dove mi trovo. Quanto ci impiegherei a strisciare fino a trovare qualcuno che mi aiuti. Come farei a lavorare se mi facessi male. Ma ci sono pensieri anche meno catastrofici, del tipo “chi me lo fa fare a rischiare” o “non vedo l’ora di spararmi una dormita pomeridiana dopo una bella birra fresca”.
Insomma, sembra che la testa abbia un motore tutto suo che non riesco a controllare. Eppure, in fondo in fondo, un modo per farlo ci sarebbe: concentrarsi. Mi vengono in mente i centometristi, che sembra riescano a raccogliere tutte le loro energie prima del via semplicemente pensando. A cosa pensano, mi chiedo? A cosa dovrei pensare io, poi, che non faccio una gara? Delle volte, proprio in gara, bofonchio fra me e me “focus“, per darmi coraggio nei passaggi tecnici. Spesso e volentieri è tutta una questione di coraggio e di mollare i freni, neanche di tecnica di guida. Lasciala andare, e poi questo concentrato di tecnologia dal prezzo esorbitante farà il resto. Però lì sulla destra c’è un bel dirupo che aspetta le mie ossa, ed ecco che mi tornano i pensieri di prima su lavoro, strisciamenti e ossa rotte.
Forse che la testa di un ventenne funzioni in altro modo rispetto a quella di un quarantenne? Possibile, però ieri non ero di 20 anni più giovane e quel passaggio l’ho chiuso senza problemi. Ma forse è questo il bello dello sport, e soprattutto dell’andare per monti con tutte le variabili che cambiano di giorno in giorno: quelle atmosferiche, quelle del terreno e soprattutto quelle della testa. Non c’è un’uscita uguale all’altra, anche se tecnicamente l’itinerario è lo stesso. Gestire i cambiamenti diventa la vera sfida, così come quella di sapere gestire se stessi e le proprie paure.
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