Visitors a sud del Bernina

Erano le otto di un mercoledì mattina, quando un rumore come di ghiaia calpestata iniziò a propagarsi nella piana di Campagneda.

Due galli forcelli appostati su un solitario larice ascoltavano incuriositi e guardinghi. Chi disturbava l’immota quiete di quel fine settembre?



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Un pensiero, come una luce, balenò loro in testa, e si guardarono con aria tesa.

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Poi il rumore si fece più concreto e spuntarono da dietro l’angolo 3 paia di ruote e 3 figure dalle vaghe sembianze umane.

I due galli tirarono un sospiro di sollievo: per un istante avevano temuto fossero tornati gli alieni, che negli ultimi anni sembravano aver preso gusto a scorrazzare in Valmalenco, ossessionandoli coi loro fasci di luce (manco fossero in discoteca!).

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I visitatori procedevano roteando le gambe a ripetizione lungo strade e sentieri, lanciando di quando in quando un gridolino di (si suppone) intenso piacere.

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Dietro di loro, una scia ricordava da vicino il ben noto tanfo delle magliette 100% sintetiche al contatto con la pelle. Non una cosa piacevole, insomma. Per cui i galli decisero di tenerli d’occhio dalla distanza, e si posizionarono su un dosso un po’ più alto.

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Avvolti in un cielo quasi surreale, li videro così raggiungere un luogo assolutamente magico: l’Alpe Poschiavina.

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Da lì, con una sequenza di serpentine, furono in breve a picco sul lago di Gera, sfiorando più volte il verde delle sue acque, lungo un trail che altalenava scorci su ghiacciai bianchissimi a pareti cupe, di una sorprendente verticalità.

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I galli riconobbero di aver a che fare con personaggi quanto meno singolari quando li videro spingersi su pendenze proibitive senza perdere il ritmo, né prendere l’infarto.

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Del resto dei tre, uno (Sergio) si allenava tutte le sere nella sua stanza trattenendo il respiro fino a diventare cianotico. Andava avanti così per ore, per ampliare (secondo la sua discutibile opinione) la propria capacità polmonare. Gli altri due (Federico e Luca) condividevano una parte di geni della terra malenca, oltre all’incapacità di stare fermi per più di due minuti di fila e una certa claustrofobia, in grado di scoraggiarli a frequentare a lungo ambienti chiusi.

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Ma i battiti del cuore erano comunque più veloci del normale. Non tanto per i continui su e giù e per l’aria fina che entrava per le narici, quanto per quello che i loro occhi vedevano apparire via via.

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Ai pennuti, a cui stava quasi per venire il torcicollo a furia di seguirne gli spostamenti, sembrò poi decisamente strano vederli proseguire a piedi verso il rifugio Bignami, con ruote e telai appoggiati sulle  spalle. Si chiesero se si trattasse di un nuovo vezzo, o della ripresa di antiche tradizioni.

Tornò loro in mente quella volta in cui passò per Campo Moro un uomo con una tunica bianca che trascinava a fatica una grossa croce di legno, seguito da una processione di gente che cantava e talvolta gli lanciava una frustata.

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“Questi umani non finiscono mai di stupire!” pensarono i galli scuotendo la testa, mentre l’eccezionale vista sul Bernina prendeva decisamente il sopravvento su qualunque forma di vita nei paraggi.

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Sì, perchè come la luna, anche il 4.000 per antonomasia delle Alpi centrali ha un suo lato oscuro. Offuscati dai più blasonati versanti engadinesi, talvolta ci si dimentica che ghiacciai e pareti spettacolari si nascondono, ma mica poi tanto, anche in Valmalenco.

Poi l’ultimo atto della scena. Quello in cui i grossi uccelli neri videro planare i tre biker di nuovo verso valle, costeggiando questa volta il bel trail lungo il lato opposto del lago.

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Fu tutto piuttosto fulmineo, e comparve come un alone chiaro nel cielo.

Un gran bagliore seguì la birra al rifugio Zoia, e i tre biker, come rapiti da forze aliene, volarono via.

 

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Itinerario

I miei grazie vanno a Emanuele del rifugio Zoia per la birra e la merenda a fine giro, e a Federico per aver partorito questa luminosa idea di viaggio!

 

 

 

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