Il calendario UCI DH World Cup 2014 prevede alcune delle località ormai note e collaudate, alternarsi ad altre che fanno il loro esordio nel circuito di Coppa del Mondo.
Si tratta di località geograficamente parecchio distanti tra loro, delle quali meno della metà in Europa, contrariamente alla consuetudine che ha sempre visto il vecchio continente come la culla di questa disciplina. Tale dislocazione delle tappe andrà certamente a penalizzare molti piloti italiani, ma non solo… in sostanza taglierà fuori parecchi team internazionali dalla possibilità di partecipare all’intero circuito di Coppa, dato che i costi per le trasferte in questione sono decisamente onerosi e presumibilmente accessibili solo ai top team. Verrebbe da pensare che l’UCI abbia volutamente architettato questa sorta di “selezione naturale”, per scremare il fondo classifica e creare una sorta di olimpo di top riders, magari dietro suggerimento di RedBull TV, che sappiamo prendere in considerazione solo i top 30. Preferiamo pensare invece che l’intenzione sia quella più nobile e sportiva di coinvolgere direttamente anche le federazioni di nazioni appartenenti ad altri continenti, che schierano atleti di spicco nel mondo della Downhill.
Qualche considerazione va fatta anche sulla selezione di piste sulle quali l’UCI fa correre i migliori atleti al mondo. Negli ultimi anni stiamo assistendo a un netto diversificarsi delle tipologie di tracciati. L’obiettivo dovrebbe essere quello di mettere a disposizione dei piloti, una gamma di percorsi varia e con il più vasto assortimento di peculiarità tecniche, per dare risalto agli atleti più completi e creare situazioni differenti a ogni gara, avvantaggiando così anche la spettacolarità. Ma stiamo andando nella direzione giusta?
L’idea che molti si sono fatti, sia da semplici spettatori che da addetti ai lavori, è che ci sia una sorta di corsa alla spettacolarizzazione di questa disciplina, foraggiata da RedBull TV e ben accolta dalla UCI. Viene dato sempre più spazio ai tracciati di nuova concezione, dove si abusa di imponenti salti artificiali e curvoni parabolici, preferibilmente in spazi aperti e facilmente raggiungibili dalle telecamere, a discapito di tratti tecnici e pendenze, che pare vengano snobbati come appartenenti a un passato che non piace più. Ma siamo sicuri che non piaccia?
La prima a fare le spese di questo nuovo trend è proprio la pista di casa nostra, l’italianissima Val di Sole, erigibile a monumento della “old school”, quella vera e senza compromessi, come ha sempre affermato il suo ideatore Pippo Marani. Peccato, al di là del campanilismo, perché non si può certo dire che su questa pista non si creasse spettacolo. Forse una delle gare più apprezzate dal pubblico e certamente la più temuta dai piloti. In Val di Sole ogni piccolo errore si pagava a caro prezzo. Ai piloti fondamentalmente questo aspetto piace, perché conserva lo spirito vero della disciplina, in cui occorre saper scegliere le linee più ardite e veloci, come il Sam Hill degli anni d’oro, senza commettere errori che possano compromettere gravemente l’intera manche.
Quindi forse la direzione giusta potrebbe essere un compromesso tra “new school” e “old school”? Un’unione di caratteristiche in grado di rendere merito allo spettacolo tanto quanto alla tecnica e allo spirito della Downhill. Una ricerca di diverse componenti all’interno di ciascuno dei tracciati, che facciano risaltare le peculiarità morfologiche del territorio, sapientemente miscelate con qualche intervento artificiale che aggiunga spettacolo allo spettacolo. Si dice che gli eccessi a lungo andare stanchino. Probabilmente è nelle giuste proporzioni che si può nascondere il segreto di una vera pista da Downhill. Siete d’accordo?
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